Incontri letterari
Moltrasio, 5 maggio 2023
autore dei romanzi distopici Sotto un cielo di carta e La città senza rughe.
Dialoga con l'autore il bibliotecario Giorgio Castiglioni.
Castiglioni: Roberto Ritondale è l'autore di due romanzi distopici, Sotto un cielo di carta e La città senza rughe. Quest'ultimo ha per noi un interesse anche, per così dire, geografico, dato che è ambientato a Como, anche se in una Como immaginaria del futuro. Comincerei chiedendoti di dire due parole sulla distopia.
Ritondale: La distopia è un sottogenere della fantascienza. Per alcuni è diventato un genere vero e proprio. Il primo a usare questo termine è stato John Stuart Mill, il padre dell'utilitarismo, nel 1878. Di cosa parla la distopia? Sembra parlare del futuro. In realtà non parla del futuro o non parla solo del futuro. Parla del presente, ma tende a sottolinearne un aspetto negativo quasi per ammonirci. La distopia è un monito: se continuiamo su questa strada, può capitare questo. Se continuiamo così, perdiamo la libertà. Se continuiamo così, la tecnologia ci mangerà, ci dominerà. Abbiamo la “Holy Trinity” della distopia, i tre grandi autori, i più famosi, conosciuti anche da chi non è un amante di questo genere: Huxley (Il mondo nuovo), Orwell (1984), Bradbury (Fahrenheit 451). Avvicinandosi a questo genere si pensa magari che Orwell fosse il capostipite, sapendone un po' di più si pensa a Huxley, ma sono state scritte distopie anche prima delle loro. Ci sono anche distopie italiane, come L'uomo è forte, pubblicato negli anni del fascismo, di Corrado Alvaro. Questo autore, nativo dell'Italia meridionale, è abbastanza famoso, ma per altri libri. Alvaro immagina una distopia classica. Il fascismo glielo lasciò pubblicare, ma costringendolo a scrivere nella prefazione che parlava della Russia. In realtà la sua era anche una critica alla dittatura fascista.
Castiglioni: L'uomo è forte ha avuto anche una versione televisiva (con il titolo Paura sul mondo). Oggi parleremo di romanzi distopici, ma la distopia può avere anche altre forme, come film, telefilm, fumetto, opera lirica. Possono essere opere tratte da romanzi, come nel caso della versione televisiva del libro di Alvaro, o opere che nascono in quel formato.
Ritondale: Un esempio è Un'arancia a orologeria, di Anthony Burgess, da cui è stato tratto il bellissimo film di Stanley Kubrick Arancia meccanica.
Castiglioni: Si diceva che La città senza rughe ha per noi un motivo di interesse in più perché è ambientato a Como, una Como immaginaria, ma nello stesso tempo molto concreta perché nel libro citi i nomi delle vie e edifici come il Tempio Voltiano, lo stadio Sinigaglia o il palazzo Novocomum. Perché hai scelto Como come città dove ha luogo la tua distopia? E come hai acquisito questa conoscenza dettagliata della città?
Ritondale: Quando mi è venuta l'idea per il libro, avevo bisogno di quella che gli inglesi chiamano location. Avevo bisogno di ambientare questo romanzo in un posto. Avevo fatto diverse ipotesi. Perché alla fine ho scelto Como? Innanzitutto per la sua bellezza. Como è veramente una delle città più belle d'Europa. Poi perché era vicina e avevo voglia di fare dei sopralluoghi per conoscere meglio quel posto dove avrei ambientato il romanzo. Inoltre è una città internazionale e ci sono dei legami con il fascismo (per esempio l'architettura del periodo fascista). E ha il lago. Il lago nella simbologia è il liquido amniotico materno e questo romanzo parla di una grande mamma, Etilla, che poi non è altro che mia madre. In Etilla ho messo le caratteristiche peculiari di mia madre. In ogni romanzo c'è sempre un aspetto autobiografico. Chi non mette almeno il vissuto emozionale in un romanzo difficilmente riesce a essere vero. Tutte queste caratteristiche mi hanno fatto scegliere Como. Conoscevo già un po' Como, ma quando la scelta è diventata definitiva ho fatto diversi sopralluoghi, con la macchina fotografica ho fotografato le cose più importanti, sono stato molto tempo all'interno del Tempio Voltiano di cui mi sono letteralmente innamorato, così come mi sono innamorato non solo dell'architettura di Terragni, ma anche della sua storia biografica: è un personaggio incredibile. Così sono entrato in empatia con la città. Non è diventata solo la location, ma anche un luogo del cuore. Sono contento di aver ambientato a Como l’ipotetica città stato del 2040 di questa distopia.
Castiglioni: Como è stata nella letteratura utopica già in passato. Possiamo ricordare le opere intitolate Testamento e Codicillo, di Giulio Cesare Gattoni, canonico del duomo di Como. Si tratta in questo caso di una utopia positiva. Gattoni immaginava che un lascito testamentario con gli interessi diventasse una somma tale da poter organizzare una nazione intera, tra l'altro istituendo una serie di società scientifiche in tutta Italia che facevano capo a Como. C'è poi Como 2112, di Renzo Albonico e Adriano Giudici. E' stato scritto nel 2011 e, leggendola oggi, colpisce la satira sugli scienziati che prospettavano la possibilità di una pandemia [pp.8-9, 27-28, 167]. Nel futuro descritto nel libro, dopo il fallimento della previsione di una pandemia nel 2017, gli scienziati “catastrofisti” sono presi in giro e non si parla più di pandemie. La realtà ci ha mostrato, purtroppo, che gli scienziati invece avevano ragione. Non è stato nel 2017, ma nel 2019 la pandemia è arrivata. Invece il tema centrale, anche se non unico, della tua distopia è ancora molto attuale. La città senza rughe è la città che mette al margine gli anziani, li esclude, addirittura li sopprime in certi casi. Come dicevi, nell'esagerare un aspetto del presente, è un monito.
Ritondale: Sicuramente il tema è quello degli anziani. Un quotidiano ha definito il libro “la profezia di Ritondale” [“Corriere del mezzogiorno” (edizione Campania), 6 novembre 2020, p.15]: durante la pandemia gli anziani sono quelli che hanno pagato il prezzo più alto. L'hanno pagato nelle RSA. Io nel romanzo immagino una enorme RSA che si chiama Vacuna, collocata nell'ex ospedale psichiatrico di Como, nella quale gli anziani vengono portati al compimento del settantacinquesimo anno di età. E' appunto una distopia. L'urlo che lo scrittore vuole lanciare è questo: forse non abbiamo più troppa cura degli anziani. I sintomi di una società che non aspetta e non considera il fragile, che non coltiva la memoria (perché l'anziano è la nostra memoria), erano già molto evidenti prima della pandemia. Con la pandemia questo processo è esploso. Nel romanzo distopico Gli scaduti di Lidia Ravera, scritto prima del mio, ma che io non conoscevo, gli anziani sono deportati a 70 anni. Lei si pone il problema del pensionamento, della fine dell'attività lavorativa. Io mi pongo il problema del preservare l'anziano che in altre epoche, in altre società, aveva un valore ben più alto.
Castiglioni: Hai citato un libro che può essere avvicinato al tuo come tematica. E' un tema che non è così diffuso nelle distopie, ma qualche esempio possiamo trovarlo. Possiamo ricordare Gli scatenati di Serge Kancer e Diario della guerra al maiale di Adolfo Bioy Casares. Direi che i due che meglio si possono affiancare al tuo libro sono Bersaglio 65 di Donato Martucci (già il titolo è indicativo: sono presi di mira quelli che superano i 65 anni) e Gli scaduti di Lidia Ravera, che hai citato. Nella prefazione a quest'ultimo libro, l'autrice dice [p.6] di essere stata ispirata dalle dichiarazioni di un politico italiano che voleva “rottamare” i politici anziani: nel libro ha immaginato l'idea della “rottamazione” applicata a tutti i cittadini. E' interessante notare il legame tra la distopia e l'attualità politica e sociale. Nel tuo caso, oltre a una riflessione di carattere generale sul tema, c'è stato anche un evento specifico che ti ha fatto scattare l'idea del libro?
Ritondale: Più che a un evento particolare, mi sono ispirato a una serie di eventi. Sono un giornalista dell'Ansa e noi, non dico quotidianamente, ma comunque spesso, diamo notizia di operazioni dei carabinieri e della guardia di finanza su violenze che vengono commesse all'interno delle RSA, degli ospizi, come si diceva una volta, con anziani che vengono maltrattati e poi salvati dai carabinieri che mettono magari delle telecamere per incastrare quegli operatori che li trattano male. Questa serie di notizie, insieme all'avanzare dell'anzianità di mia madre, che è morta prima della pubblicazione del libro (e il libro è stato anche un modo per restarle vicino) e che è sempre rimasta a casa (non l'abbiamo mai portata in un ospizio), mi ha fatto venire voglia di parlare del problema degli anziani. E poi ripeto: i sintomi di un mondo che non dà più il giusto peso alle persone anziane erano evidenti, tant'è vero che l'epigrafe del mio romanzo è una frase del presidente Sergio Mattarella tratta dal suo discorso di capodanno del 2019, prima della pandemia. Mattarella diceva: “Bisogna predisporre nei confronti degli anziani – parte preziosa della società – maggiori cure e attenzioni”. Quindi che il tema aleggiasse un po' nella nostra società era evidente e ho anche il punto di osservazione privilegiato del giornalista che è a contatto con i fatti di cronaca in modo quotidiano: questo mi ha portato a occuparmi di questo aspetto particolare della società.
Castiglioni: Faccio un accenno a tre utopie di qualche secolo fa. Nell'Utopia di Thomas More gli anziani ricevono grande rispetto, ma forse si esagera un poco a scapito dei giovani. Francesco Patrizi nella Città felice scrive che tocca agli anziani governare ai giovani essere governati. Interessante per il tema di questo incontro è quel che scrive Antonio de Guevara in un brano di un suo libro in cui sono presentate le leggi dell'immaginario popolo dei Garamanti: le donne a 40 anni e gli uomini a 50 anni vengono sacrificati agli dei. E questa vuole essere un'utopia, non una distopia. Riprendo allora il titolo del tuo libro: La città senza rughe. A primo impatto, potrebbe essere interpretato come “la città senza difetti” e in effetti è questa la visione della dittatura del romanzo: la città per loro è perfetta senza gli anziani, visti come un peso sociale (un'idea presente anche nella nostra società, purtroppo, e il tuo libro è un monito).
Ritondale: Ho scelto questo titolo innanzitutto perché è un po' poetico. “La città senza anziani” non avrebbe avuto lo stesso effetto. E' una figura retorica che si chiama sineddoche: una parte per il tutto. La città senza rughe è la città senza anziani perché in questa Como del 2040 di anziani non ne girano più per le strade e quindi non si vedono più le loro rughe. Questa dittatura vuole eliminare gli anziani per motivi estetici ed economici. Per motivi economici: gli anziani non sono più una parte produttiva della società e quindi, secondo il dittatore, non servono a niente. Per motivi estetici: il dittatore di questa iuventucrazia, che non è la dittatura della Juventus, ma la dittatura dei giovani, è un dandy: il suo idolo è Oscar Wilde. Vuole eliminarli anche per motivi estetici, quindi la città è “senza rughe” anche dal punto di vista fisico, tant'è vero che in questa Como immaginaria del 2040 si aprono tanti centri per il benessere, tante spa.
Castiglioni: Di questo filone letterario vengono magari citati solo pochi nomi, come i tre che citavi, Huxley, Orwell e Bradbury. Di recente si parla molto di Margaret Atwood, anche per la serie televisiva ispirata al suo romanzo Il racconto dell'ancella. Un'altra scrittrice, magari meno nota, ma che merita certamente di essere ricordata, è Karin Boye, autrice della distopia Kallocaina. Le distopie sono comunque tantissime.
Ritondale: Mi viene in mente una battuta di Massimo Troisi (campano come me). Si parlava di libri che non aveva letto e lui diceva: “Io sono uno a leggere, loro sono milioni a scrivere” [nel film Le vie del Signore sono finite].
Castiglioni: La città senza rughe contiene anche riferimenti al fascismo. Il regime del romanzo riprende anche la retorica fascista sull'antica Roma: la moneta in uso è il sesterzio e i nomi devono essere presi dalla tradizione classica.
Ritondale: Ci sono dei punti di contatto. Ho scelto Como come collocazione geografica anche per i riferimenti a fascismo e antifascismo. Il partito del libro si chiama Partito del mondo futuro e la sigla PMF richiama ovviamente il PNF (Partito nazionale fascista). Alcune date menzionate nel libro sono le stesse date cento anni dopo. Il 12 aprile 2028 scoppia una guerra civile in Italia dopo un attentato: il riferimento è all'attentato a Vittorio Emanuele del 12 aprile 1928. Oppure il 5 agosto 2038 vengono promulgate le Norme Cogenti: come il 5 agosto 1938 era stato pubblicato il Manifesto della razza sulla rivista “Difesa della razza”. Ci sono dei riferimenti, alcuni un po' sottaciuti, alcuni proprio nascosti per far capire che la libertà è un bene prezioso e va preservato sempre. Per i discorsi di Ebe, il dittatore della Como del romanzo, ho pescato dai discorsi di Hitler e da quelli di Stalin, perché volevo dimostrare che la dittatura, che sia fascista, nazista o comunista, è sempre una tragedia per l'umanità. Per questo, come ho spiegato nelle note, ho voluto pescare dai più grandi dittatori che poi non sono altro che dei pazzi, per come la vedo io.
Castiglioni: C'è un libro pubblicato nel 1922 che già dal titolo suona agghiacciante sapendo quel che è successo dopo: La città senza ebrei, di Hugo Bettauer, scrittore ebreo austriaco. Nel romanzo di Bettauer in Austria gli antisemiti prendono il potere e cacciano gli ebrei dal paese. Anche in questo caso il romanzo distopico è legato alla realtà sociale: l'antisemitismo era già molto diffuso. Quel che è successo realmente anni dopo è stato addirittura peggio degli immaginari eventi del romanzo.
Ritondale: Posso agganciarmi a questa sorta di profezia. Gli scrittori di distopie, come si diceva, si occupano non tanto del futuro quanto del presente, del quale ingrandiscono un particolare dettaglio che può rovinare la società. Posso leggere un brano di un autore che certamente conoscete, E. M. Forster, l'autore di Camera con vista, Passaggio in India e Casa Howard. Ha scritto anche un racconto che si intitola La macchina si ferma che è letteralmente allucinante tenendo conto che è stato scritto nel 1909. “Conosceva alcune migliaia di persone; sotto certi rispetti, il mondo delle interazioni sociali era progredito enormemente” [p.123]. Come con Facebook. “Lo schermo fu percorso da un fioco balenio azzurro […] ed ecco che la donna poté contemplare l'immagine di suo figlio, che abitava all'estremità opposta della Terra, mentre lui vedeva quella della madre” [p.124]. Nel 1909 ha immaginato la videochiamata. Oppure: “C'era il pulsante che produceva letteratura” [p.127]. Come ChatGPT, di cui si parla in questi giorni. O ancora: “i messaggi accumulati negli ultimi tre minuti le si scaricarono addosso” [p.127]. Come i gruppi di WhatsApp che ci tempestano di notifiche. Oppure: “Né Vashti [la protagonista del racconto] né il suo pubblico avevano alcun bisogno di lasciare le loro camere. Lei parlava, assisa nella sua poltrona, mentre i suoi ascoltatori, anch'essi in poltrona, potevano udirne assai distintamente le parole e vederne assai distintamente l'immagine” [p.128]. Come con Zoom. Questo racconto è stato scritto nel 1909 e l'autore immagina una popolazione che vive in monocamere sotto terra, rifiuta il contatto umano, non esce più all'aperto. Addirittura questa distopia tecnologica prevede una condanna per chi vuole toccare la superficie terrestre. Finisce malissimo e spero che almeno questo non l'abbia indovinato.
Castiglioni: La tua altra distopia è Sotto un cielo di carta. Nel romanzo viene abolita la carta. I libri sono mantenuti nella forma digitale, anche se con ampia censura. Un altro libro, di alcuni anni dopo, in cui viene abolita la carta e i libri esistono solo in formato digitale è La prigione di carta di Marc Onnembo. Per il tuo libro credo che un riferimento sia stato Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, che citi nell'epigrafe.
Ritondale: Sotto un cielo di carta nasce dal mio grande amore per la carta. Veramente io amo la carta. Vado a dormire con i libri lì vicino. Quando compro un libro guardo la copertina, sento l'odore della carta, guardo la quarta di copertina. Ho cominciato come giornalista nel giornale, con l'odore del giornale appena stampato. Avevo un mio giornale e andavo in tipografia a vederlo nascere. Quindi è anche un modo per esorcizzare la fine della carta. La tecnologia sta togliendo un sacco di cose di carta. La carta fotografica quasi non esiste più. Abbiamo tutti le foto digitali, ma difficilmente le stampiamo. La carta dei giornali sta scomparendo. I ragazzi non sanno nemmeno cosa sia la carta carbone che faccio vedere nelle scuole dove vado spesso. Per noi era il modo per avere una copia. Adesso con le stampanti la vita è facile. Tanti oggetti di carta effettivamente stanno scomparendo. E' un grido di allarme: se continuiamo così la carta scompare. La carta è stata importante nelle rivoluzioni, nella stampa clandestina. Quindi avevo bisogno di scrivere un libro che raccontasse il mio timore per la perdita della carta. Il regime del libro abolisce la carta perché tutto sia tracciabile attraverso un tablet governativo che va tenuto sempre con sé: per scrivere, per leggere, per comunicare, per viaggiare bisogna sempre usare quel tablet. Quindi io denunciavo il fatto che eravamo già sotto controllo. Infatti il regime del romanzo non è comunista né fascista, ma è “controllista”. Quando incontro i ragazzi nelle scuole dico loro: “Guardate che voi siete già sotto controllo perché tutto quello che digitate sul vostro social diventa patrimonio di tutti”. A proposito di come nasce un libro, io avevo letto un articolo di Edward Snowden che denunciava che negli Stati Uniti i metadati venivano venduti ai governi. E il libro è uscito due anni prima dello scandalo di Cambridge Analytica che vendeva alle grandi corporazioni i nostri dati su Facebook. Quindi sono dei rischi che sono reali nella società. Il libro ricorda molto Ray Bradbury. Come hai giustamente sottolineato, l'epigrafe è una frase di Bradbury. Dirò di più: il numero del codice con cui il regime del romanzo abolisce la carta è 2435. Sembra un numero a caso, ma non lo è perché 2435 è la somma di 451 (il numero nel titolo del romanzo di Bradbury) e 1984 (Orwell). Il protagonista si chiama Odal che è l'anagramma di Aldo che è il nome di mio padre, ma richiama anche Aldous Huxley. Così in questo libro c'è la Holy Trinity della distopia.
Castiglioni: Hai presentato anche un altro tema del libro: gli algoritmi usati in modi non troppo trasparenti. Su questo tema possiamo citare due altri libri, The Store di James Patterson e Richard Di Lallo e QualityLand di Marc-Uwe Kling (personalmente tra i due preferisco nettamente il secondo).
Ritondale: Un autore che mi piace molto è Guido Morselli. Vi confesso che io l'ho conosciuto da poco, grazie a un collega con il quale ogni tanto scambio consigli letterari. Guido Morselli è uno scrittore della provincia di Varese del quale quest'anno ricorrono i cinquanta anni dalla morte per suicidio. Non solo ha scritto dei libri bellissimi, ma anche la sua vicenda biografica è particolare. Si è suicidato a quarant'anni perché i suoi libri non erano mai stati pubblicati. Nel suo bellissimo libro Dissipatio H. G., che ricorda un po' Io sono leggenda di Richard Matheson, Morselli immagina che l'umanità evapori e che lui rimanga l'unico abitante sulla Terra. E' diventato il libro dell'anno del 2020 per “The New York review of books” anche perché certe immagini ricordavano le nostre strade vuote durante le quarantene per la pandemia. Morselli è uno dei miei autori preferiti. E' autore anche di una ucronia, il genere che comprende per esempio La svastica sul sole di Philip K. Dick. Forse qualcuno ha visto la serie tv L'uomo nell'alto castello, tratta dal romanzo di Dick. L'autore immagina che la seconda guerra mondiale sia stata vinta dall'Asse (Giappone, Italia e Germania), con gli Stati Uniti diventati servi della Germania. Anche Morselli ha scritto una ucronia, Contro-passato prossimo, nel quale immagina che le vicende militari della Prima guerra mondiale siano andate diversamente. Ha scritto anche Roma senza papa, libro nel quale immagina che il papa si dimetta e se ne vada: è stato un precursore del film di Nanni Moretti. Morselli è un autore che non molti conoscono anche se adesso è pubblicato da una casa editrice importante come Adelphi. Consiglio Dissipatio H. G. per cominciare a conoscerlo.
Castiglioni: Visto che abbiamo ricordato La svastica sul sole di Philip K. Dick, aggiungiamo anche un altro libro in cui si immagina la vittoria nazista nella Seconda guerra mondiale, La notte della svastica di Katherine Burdekin, pubblicato con lo pseudonimo Murray Constantine. Abbiamo detto che Sotto un cielo di carta richiama, a partire dall'epigrafe, Ray Bradbury. Nel libro è citato anche George Orwell e credo che si possa fare qualche parallelo con il suo famoso 1984. Gli slogan della dittatura del tuo romanzo sembrano richiamare quelli del regime di 1984. La scena un po' cruda della tortura con i bruchi modificati in laboratorio [p.167] ricorda quella dei ratti nel romanzo di Orwell.
Ritondale: Diciamo che le distopie alla fine sono come le canzoni. Le note sono quelle. Per esempio, lo slogan “La guerra è pace” del libro di Orwell ha un precedente in Da noi non può succedere di Sinclair Lewis, pubblicato nel 1935. In questo romanzo si immagina un politico populista che diventa dittatore degli Stati Uniti. Questo libro del 1935 ci fa pensare a Donald Trump. Nelle prime pagine del libro, durante una cena rotariana, un generale dice: “Per la prima volta nella storia una grande nazione deve cominciare ad armarsi sempre più non per la conquista, non per la gelosia, non per dichiarare guerra, ma per la pace” [p.15]. Amarsi per la pace. E' un po' il concetto di tutti i dittatori populisti che bisogna armarsi per mantenere la pace. Poi in alcune occasioni è anche necessario, come la cronaca di questi tempi ci mostra. In Sotto un cielo di carta Odal, il protagonista, mostra la sua libreria, che è vuota perché la carta è vietata, ma immaginando che i libri ci siano ancora, a Peter Moon, uno scrittore che non riesce più a scrivere perché non può più usare carta e penna. In questo dialogo Moon, parlando di Orwell, dice: “Lui aveva capito tutto”. Odal risponde: “Ne sei proprio convinto?” [p.132]. Con questo volevo dire che le distopie sono sempre cupe, senza speranza, con un futuro a volte addirittura apocalittico, come nel racconto di Forster, mentre io nelle mie distopie lascio aperta la porta alla speranza. Nelle mie distopie alla fine c'è lo spiraglio. Io credo che l'umanità abbia la possibilità di riscattarsi in qualche modo. Infatti in modo un po' giocoso, ma anche serio, io mi sono inventato un sottogenere del sottogenere chiamandolo “futurealismo”. Il realismo e il neorealismo denunciavano i problemi del presente. E' quello che voglio fare anche io, ma proiettandolo nel futuro e con una prospettiva speranzosa. In questo senso, secondo me, Orwell non aveva capito proprio tutto: il suo romanzo non lascia campo alla speranza. Io al genere umano una speranza gliela voglio lasciare.
Bibliografia
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Corrado Alvaro, L'uomo è forte, Milano, Bompiani, 1938
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Roberto Ritondale, La città senza rughe, Milano, BookRoad, 2020