Pagina di presentazione di "Mah"
LIBRI
Paolo Cortesi, L'officina di Nostradamus, Roma : Carocci, 2018
I sostenitori di Nostradamus si ingegnano per collegare il loro profeta al futuro che avrebbe predetto. L'autore di questo libro, invece, studia l'opera di Nostradamus nel contesto del suo tempo.
Un fatto che caratterizza le profezie di Nostradamus è che il presunto legame delle sue parole con l'evento che avrebbero previsto emerge sempre soltanto dopo l'evento. L'ovvia spiegazione è che in realtà Nostradamus non lo aveva affatto previsto, ma sono i suoi interpreti a adattare le sue frasi, espresse in modo vago, all'evento. Questa considerazione non ferma però i sostenitori del profeta francese. Uno di loro, David Ovason, sostiene anzi che il fatto che il senso degli oscuri versi si palesi solo dopo l'evento sarebbe da attribuire a una scelta intenzionale: “Nostradamus ha elaborato le sue quartine in modo che il loro significato divenisse evidente solo dopo che l'evento si fosse verificato” (cit. a p.12).
Calcolare la posizione degli astri per predire il futuro è un'operazione senza senso e quindi non fa differenza se chi fa i calcoli è preciso o meno. In ogni caso, Cortesi scrive che, nonostante Nostradamus sia diventato celebre come astrologo, in realtà non conosceva bene la materia e i suoi calcoli astrologici erano molto carenti (pp.30-33). Secondo l'autore, Nostradamus in realtà fondava le sue divinazioni sulla magia, ma parlava di astrologia perché la magia era vista con sospetto, mentre l'astrologia era socialmente accettata (pp.42-43).
Nostradamus acquisì una notevole celebrità e, osserva con ironia Cortesi, “i parenti di Nostradamus crescevano di pari passo”: ci furono infatti almanacchi di profezie pubblicati con nomi che intendevano suggerire una parentela con il famoso veggente come nel caso di “un sedicente discendente” che si firmava “Michel Nostradamus le Jeun” (p.55).
Le profezie potevano essere anche usate con finalità politica. Ai tempi della Fronda, riferisce l'autore, girava un'edizione manipolata delle profezie di Nostradamus con un'interpolazione che parlava dell'ascesa e della caduta del “siciliano Nizaram”, allusione facilmente decifrabile al potente cardinale Mazzarino (p.56).
Cortesi sostiene giustamente che, invece che leggere i testi di Nostradamus alla ricerca di presunte profezie di eventi futuri, si dovrebbe farne un'analisi letteraria. Questo, dice l'autore, porterebbe alla luce il fatto che Nostradamus aveva fatto largo uso di testi altrui. La lettera al figlio Cesare che apre la prima edizione delle Profezie (1555), scrive Cortesi, riprende largamente il testo del Compendio di rivelazioni (1495) di Girolamo Savonarola (pp.65-68). L'autore segnala anche un un plagio da Pietro Crinito (pp.68-69) e mostra come molte delle colorite descrizioni di eventi prodigiosi siano tratte da Giulio Ossequente (pp.69-77).
Cortesi scrive che Nostradamus aveva tratto nomi di località dalla Guide des chemins de France (1552) di Charles Estienne. Questo debito è particolarmente interessante in rapporto a una quartina spesso citata come esempio di predizione avverata, quella in cui si parla di un “monaco grigio dentro Varennes”, interpretata come una profezia della fuga di Luigi XVI finita con la cattura a Varennes-en-Argonne. Nel testo di Nostradamus, prima di Varennes vengono citate località chiamate Reines e Herne, c'è la parola “vaultorte” e si nomina una pietra bianca. Nella guida di Estienne, si trova un percorso con Renes, Vaultorte, Heruée, La pierre blanche, Varennes. Questa Varennes non è, però, quella in cui fu arrestato il re, ma una località con il medesimo nome situata nel dipartimento di Maine-et-Loire (pp.78-81).
L'autore fa notare che gli interpreti di Nostradamus, cercando di trovare significati in ogni parola del presunto veggente, dimenticano un fatto importante: le profezie sono scritte in poesia e la scelta di una parola al posto di un'altra potrebbe semplicemente essere dettata da motivi metrici (p.88).
Francesco Paolo de Ceglia – Lorenzo Leporiere, La pitonessa, il pirata e l'acuto osservatore : spiritismo e scienza nell'Italia della belle époque, Milano : Editrice Bibliografica, 2018
Scritto con tono leggero e spesso scherzoso, ma ben documentato (come mostrano le note, gli autori hanno svolto un ampio lavoro di consultazione delle fonti dell'epoca), il libro ricostruisce le vicende dello spiritismo tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento e in particolare quelle di Eusapia Palladino, la “pitonessa” del titolo, che fu una delle più celebri medium.
Un accanito sostenitore dell'autenticità dei fenomeni medianici prodotti da Eusapia fu Cesare Lombroso, disposto persino a trovare giustificazioni per evidenti incoerenze come accadde quando Eusapia fece parlare la defunta madre dello studioso, che era veneta, in un dialetto diverso. Lombroso liquidò la faccenda dicendo che “sono noti gli errori di espressione dei defunti” (p.178).
D'altra parte, persino quando un trucco venisse scoperto in modo indiscutibile, si poteva sempre replicare, come fecero Camille Flammarion e altri, che il fatto che in quell'occasione avesse barato, non implicava che in altri casi non potesse esserci stato, invece, un fenomeno genuino (p.250).
Anche scienziati del calibro di Marie e Pierre Curie mostrarono interesse per le imprese di Eusapia (pp.210-211, 223-225).
Si fecero anche delle verifiche scientifiche, o che tali avrebbero dovuto essere, su Eusapia coinvolgendo pure scienziati come l'astronomo Giovanni Schiaparelli che, però, mise in luce i limiti degli esperimenti svolti a Milano a cui aveva assistito: “Quando proponevamo delle modificazioni atte a dare agli esperimenti il carattere di chiarezza e di evidenza che mancava, il medium dichiarava invariabilmente che, con ciò, la riuscita diventava impossibile. Insomma non abbiamo esperimentato nel vero senso della parola: ci siamo dovuti accontentare d'osservare ciò che avveniva nelle sfavorevoli condizioni imposte dal medio” (p.116).
Tra gli scettici nei confronti di Eusapia c'era il direttore del “Corriere della sera” Eugenio Torelli Villier (pp.114-119).
Tra i partecipanti alle sedute di Eusapia potevano anche capitare dei buontemponi che, per divertirsi, fingevano di aver colto un fenomeno medianico (pp.65-68). Tali Carmine Franchi, Eusebio Dworzak e Paschall Getzel, invece, recitarono la parte dei sostenitori dello spiritismo con il fine di smascherare la medium. Franchi finse di essere un medium e Doworzak e Getzel “avevano deciso di fingersi gente credula per cogliere la mistificazione in flagrante e renderla pubblica onde evitare che altre persone oneste e intelligenti cadessero vittime dell'inganno”. Riuscirono a farsi invitare alle sedute di Eusapia e la colsero “con le mani nel sacco” (pp.125-129).
Eusapia fu in effetti scoperta più volte a barare, come lo furono altri personaggi diventati celebri nel mondo dello spiritismo, come Daniel Dunglas Home, i fratelli Davenport, le sorelle Fox, Florence Cook (pp.251-252).
Gli autori segnalano il ruolo importante che possono svolgere i prestigiatori per smascherare i medium (pp.238-241, 243, 254) e ricordano che a Napoli l'illusionista Roberth si esibì riproducendo i presunti fenomeni medianici, mostrando così che si potevano spiegare come trucchi (pp.102-103).
Il libro parla principalmente delle vicende di Eusapia Palladino, ma nelle sue pagine trovano spazio anche altri nomi. Ci sono le sorelle Fox che riuscirono a far credere a molti che gli spiriti comunicassero con loro con dei rumori e sono considerate le iniziatrici dello spiritismo (pp.19-22), per quanto gli autori segnalino anche casi precedenti, tra '500 e '600, che mostrano somiglianze con le vicende delle sorelle Fox e dei loro raps spiritici (pp.22-24). Altri personaggi di cui si parla nel testo sono i fratelli Davenport, le cui esibizioni spiritiche ebbero grande successo (pp.30-32), il medium Daniel Dunglas Home (p.72), l'ipnotizzatore belga Edouard d'Hont, noto con il nome d'arte di Donato (pp.152-156) e il telepata Jean Lambert, conosciuto come Pickman (pp.156-157).
Il libro porta l'attenzione anche sulle foto spiritiche (pp.188-201). William Howard Mumler, usando il trucco della doppia esposizione, ne fece un'attività commerciale (pp.188-199, 193). Vedendo queste vecchie foto degli spiriti, può sorprendere che qualcuno le prendesse sul serio. Come dicono gli autori, “oggi, più che inquietare, strappano un sorriso” (p.195). Una foto scattata durante una seduta di Eusapia, quando fu sviluppata, mostrò delle strisce luminose. Non si trattava, però, di presunti spiriti evocati dalla medium. Si trovò una spiegazione più banale: la fiamma di una candela che veniva spostata davanti all'obiettivo della macchina fotografica poteva produrre sulla lastra proprio quell'effetto (pp.199-201).
Anche se presentati con grande enfasi, i presunti messaggi degli spiriti non avevano poi nulla di straordinario. Come notano gli autori, “gli spiriti moderni sembravan giungere tra i viventi per dar loro conferma di quanto essi già pensavano” (p.170).
Luca Perri, Astrobufale : tutto ciò che sappiamo (ma non dovremmo sapere) sullo spazio, Milano : Rizzoli, 2018
Sono numerose le affermazioni infondate sullo spazio che hanno guadagnato una notevole popolarità. Di queste “astrobufale” si occupa l'autore di questo libro, scritto in modo scorrevole, ma sempre con attenzione scientifica (anche se il lettore potrebbe desiderare qualche riferimento bibliografico in più per approfondire gli argomenti trattati). Alle bufale sono affiancate notizie reali che potrebbero avere l'indicazione “strano ma vero”. All'inizio di ogni capitolo, l'autore propone una di queste notizie e una bufala invitando il lettore a indovinare quale delle due sia l'affermazione falsa.
Tra i corpi celesti soggetti di bufale c'è, ovviamente, la Luna. Nel 1835 il quotidiano di New York “The Sun” pubblicò una burla che ebbe notevole fama: si raccontava che il celebre astronomo John Herschel, puntando il suo potente telescopio verso la Luna, aveva visto sul nostro satellite degli esseri viventi, tra i quali creature antropomorfe con ali simili a quelle dei pipistrelli (pp.58-60). Una più recente “bufala lunare” è quella secondo la quale l'arrivo dell'uomo sulla Luna sarebbe un falso (pp.37-58).
Si sente talora parlare di un “lato oscuro” della Luna. Perri fa però notare che si tratta di una definizione errata. La Luna volge sempre la stessa faccia verso la Terra (rotazione sincrona) e quindi c'è una parte (circa il 41% della superficie del nostro satellite) che non è mai visibile dalla Terra. Tuttavia anche questa parte riceve l'illuminazione del Sole: è un lato nascosto (alla Terra), non oscuro (pp.77-81).
E se, al contrario, dalla Luna si guarda verso la Terra? Secondo una credenza diffusa, dalla Luna sarebbe visibile un'unica opera costruita dall'uomo, la Muraglia cinese. Si tratta certamente di una costruzione imponente, ma, per quanto abbia una lunghezza ragguardevole, non ha una grande larghezza e quindi scompare alla vista ben prima di arrivare sulla Luna (pp.217-224).
Alcune pagine sono dedicate al fenomeno degli ufo (pp.161-172).
Tra le astrobufale va certamente inclusa l'astrologia (pp.241-262). Molti giornali pubblicano gli oroscopi, secondo i quali si potrebbe fare qualche previsione su quel che accadrà a una persona in base al suo segno zodiacale. “Qual è la probabilità”, si chiede però l'autore, “che un dodicesimo della popolazione mondiale abbia ogni giorno una giornata simile o comunque segnata dai medesimi accadimenti?” (p.243). Perri riferisce anche un esperimento da lui fatto: per sei mesi ha letto gli oroscopi di tre giornali “contando il numero di giorni in cui i tre astrologi in questione concordavano nelle loro previsioni. Il risultato? Cifra tonda: Zero. Mai” (p.249).
Ci sono anche gli astrologi finanziari. Richard Wiseman, uno studioso con mentalità razionale, ha voluto mettere alla prova una di loro, Christeen Skinner. All'astrologa è stato chiesto di far fruttare al meglio 5000 sterline e lo stesso compito, per fare un confronto, è stato affidato a un broker professionista e a una bambina di quattro anni (la cui strategia sarà stata, scrive con ironia Perri, “probabilmente la stessa dell'economista astrologica, ma senza vantarsi di averne una”). L'astrologa ha ottenuto il risultato peggiore, perdendo circa il 10% del capitale. Il broker, comunque, non ha fatto molto meglio, perdendo il 7%, e la vincitrice è risultata la bambina, con una perdita limitata al 4,5% (pp.247-249).
Ad aiutare gli astrologi c'è l'effetto Forer. Bertram Forer era uno psicologo statunitense che aveva ideato un noto esperimento. Aveva chiesto ai suoi studenti di rispondere a un test sulla personalità e in seguito aveva consegnato a ciascuno un profilo chiedendo di indicare quanto lo reputassero accurato. La valutazione degli studenti fu molto positiva. A questo punto Forer rivelò che, in realtà, non aveva neppure preso in considerazione le loro risposte e che aveva dato a tutti un identico profilo. La descrizione della personalità era composta con frasi generiche in cui chiunque poteva riconoscersi. Lo psicologo aveva preso le frasette con cui aveva composto i presunti profili della personalità proprio dagli oroscopi (pp.258-261).
Giuseppe Riva, Fake news : vivere e sopravvivere in un mondo post-verità, Bologna : il Mulino, 2018
L'uso di notizie false per fini politici non è certo cosa recente. L'autore cita come esempio nel mondo antico una lettera falsa attribuita allo spartano Pausania e indirizzata al re dei Persiani Serse (pp.16-17) e ricorda, in tempi più vicini, l'attività del Dipartimento D dei servizi segreti sovietici (pp.22-25). Ritiene tuttavia che ci sia qualcosa che “differenzia le attuali fake news dalla disinformazione che è sempre esistita” e indica a tal proposito due punti. Il primo “è la capacità di toccare la dimensione emotiva del lettore”, mentre il secondo è il contesto che ne favorisce la diffusione: “la storia delle moderne fake news è legata a quella di una tecnologia: i social media” (p.18). Secondo l'autore, infatti, i social media come Facebook offrono alcune condizioni che favoriscono il successo delle fake news, permettendo l'incontro tra numerosi utenti e nello stesso tempo facendo sì che si creino “silos sociali” in cui circolano idee in linea con le preferenze degli utenti ed è invece minimizzato il contatto con idee diverse (pp.99, 113-114).
Riva riporta i suggerimenti di Facebook e di BastaBufale (un'iniziativa della Camera dei deputati e del Miur) per non cascare nelle fake news (pp.151-154). Come riassume l'autore, “è evidente che l'ultima barriera contro le fake news rimane sempre la capacità di esercitare il nostro spirito critico” (p.156).
LIBRI
Marcello Ticca, Miraggi alimentari : 99 idee sbagliate su cosa e come mangiamo, Bari - Roma : Laterza, 2018
Ci sono tante idee sbagliate sugli alimenti. L'autore ne ha raccolte 99, spaziando da convinzioni tradizionali, ma dimostratesi infondate, come quella secondo la quale il pesce sarebbe benefico per la memoria grazie al suo contenuto di fosforo (doppiamente errata perché il pesce non è un alimento che si distingue dagli altri per la presenza di fosforo e perché comunque non c'è un legame tra maggiore assunzione di fosforo e migliore memoria) (pp.28-30) o quella dell'alcool che scalda (in realtà, al contrario, favorisce il raffreddamento del corpo) (pp.67-68), fino alle mode alimentari oggi in voga (pp.110-171).
Abbondare con i dolci espone al rischio di ammalarsi di diabete a causa dell'elevata assunzione di zuccheri? In realtà, spiega Ticca, il rischio non aumenta per il consumo di zuccheri di per sé, ma se tale consumo porta a mettere su chili di troppo. Nei dolci, aggiunge l'autore, a causare un aumento di peso sono peraltro più i grassi che gli zuccheri (pp.6-9). A proposito di zuccheri, non è vero che lo zucchero grezzo faccia ingrassare di meno di quello bianco. Scegliere l'uno o l'altro è solo questione di gusti (pp.21-22). E' sbagliato demonizzare gli zuccheri, che hanno, invece, il loro legittimo posto in una dieta equilibrata (pp.22-23). Lo stesso si può dire della farina bianca (pp.209-212) e del latte (pp.195-202). A proposito del China Study (pp.195-197), uno dei più popolari testi sull'alimentazione di questi ultimi anni, Ticca precisa che le conclusioni degli autori sono “basate su metodologie e analisi statistiche discutibili e limitate” che non giustificano il suggerimento di evitare i latticini (p.197). Il latte a lunga conservazione, dice l'autore, non perde quasi nulla del suo valore nutritivo rispetto a quello fresco (pp.3-4). Il latte crudo non offre vantaggi in caso di intolleranza al lattosio (p.187) ed è meno sicuro a causa della mancanza degli appositi trattamenti (pp.188-190).
Sono diventati di moda gli alimenti senza glutine. Tuttavia, spiega Ticca, “i prodotti senza glutine servono soltanto a costruire una dieta adatta ai celiaci” (p.133). Per gli altri, non ci sono vantaggi per la salute. Non è neppure vero, scrive l'autore, che una dieta senza glutine faccia dimagrire (pp.130-133). A proposito di perdita di peso, un'idea curiosa, e ovviamente infondata, è quella secondo la quale le luci blu aiuterebbero a dimagrire (pp.170-171).
Le bacche di Goji, i semi di chia e il cavolo riccio (kale) hanno acquisito una certa fama come “supercibi”, dotati di proprietà particolarmente benefiche per la salute, ma, scrive Ticca, tali prodotti non hanno in realtà nulla di speciale (pp.87-90).
Sulla cottura circolano idee infondate, tra le quali quella secondo la quale mangiare cibo crudo sia più salutare e quella che vede pericoli nella cottura con il forno a microonde. E' vero il contrario. Consumare crudi alcuni alimenti può comportare rischi per la presenza di agenti patogeni che vengono, invece, soppressi dalla cottura (pp.48-50). La cottura con il forno a microonde non porta problemi per la salute (pp.52-55) (privi di fondamento sono i timori di effetti cancerogeni o di una presunta presenza di radioattività – p.53) e neppure impoverisce gli alimenti. Anzi, il fatto che si possano “raggiungere anche temperature molto elevate ma per tempi molto brevi […] è un vantaggio per la preservazione del valore nutritivo dei cibi” (p.53). Anche i cibi surgelati conservano bene le proprietà nutritive (pp.33-35).
Le idee sbagliate sull'alimentazione sono, insomma, numerose e sono talvolta diffuse proprio da chi, per formazione e professione, dovrebbe al contrario fare chiarezza. Scrive Ticca: “se alcuni addetti ai lavori mantenessero un maggiore equilibrio e non si facessero sedurre dal fascino delle affermazioni clamorose ci sarebbe molto minore confusione” (p.212).
P. T. Barnum, Battaglie e trionfi : quarant'anni di ricordi, a cura di Andrea Asioli, Palermo : Sellerio, 2018
L'anziana signora Joice Heth (pp.53-57) sarebbe stata, secondo quel che veniva riferito, la nutrice di George Washington e avrebbe avuto la bellezza di 161 anni (p.53). Il “cavallo di belle forme e piccole dimensioni, senza criniera e con la coda glabra, il corpo e le gambe ammantati da una folta e fitta lanugine a riccioli aderente alla pelle” sarebbe stato catturato dal colonnello John C. Frémont sulle Montagne Rocciose (p.115). La sirena delle Fiji aveva la parte anteriore da scimmia e quella posteriore da pesce (pp.92-94, 124).
Si tratta di tre delle tante attrazioni offerte al pubblico dal celebre impresario del mondo dello spettacolo Phineas Taylor Barnum (1810-1891), del quale questo libro presenta le memorie su questi e tanti altri episodi della sua carriera.
Parlando delle affermazioni, chiaramente inverosimili, sulla signora Heth, Barnum scrive che la questione “continuerà probabilmente ad essere avvolta per sempre nel mistero” dato che “i medici erano in disaccordo”, ammettendo comunque che un esame post mortem aveva suggerito un'età decisamente inferiore (p.57).
Se nel caso della presunta nutrice di George Washington l'impresario lascia l'ammissione a metà, in merito alla sirena delle Fiji riconosce apertamente ciò che è, d'altra parte, evidente: “senza dubbio la mia sirena era un artefatto” (p.93). La falsa sirena era stata comunque un successo. Scrive Barnum: “avrei potuto pubblicare colonne su colonne di annunci sui giornali presentando e incensando l'enorme collezione di reperti autentici di storia naturale da me allestita, ma essi non avrebbero attirato la stessa attenzione che ottenni con qualche paragrafo sulla sirena” (p.94).
Barnum riferisce che un senatore imparentato con Frémont aveva protestato contro l'esposizione del “cavallo lanoso” dicendo che la storia secondo la quale sarebbe stato trovato dall'esploratore sulle Montagne Rocciose era del tutto falsa (p.116). L'impresario ammette che il senatore aveva ragione e scrive che il cavallo messo in mostra in realtà “era stato partorito nell'Indiana” anche se era comunque “un singolare scherzo della natura, o quantomeno un animale curiosissimo” (p.115).
Nelle sue memorie, insomma, Barnum ammette senza problemi di aver presentato al pubblico anche dei falsi. Un altro aneddoto che racconta vede come protagonista Lewis Gaylord Clark, della rivista “The Knickerbocker”. Secondo il racconto di Barnum, Clark gli aveva chiesto se era nel suo museo il bastone con il quale era stato ucciso l'esploratore James Cook. Barnum aveva risposto di sì e glielo aveva mostrato “insieme ai documenti che ne attestavano l'autenticità”. Clark allora (sempre stando alla ricostruzione di Barnum) con ironia gli aveva detto: “Ho visitato una mezza dozzina di musei più piccoli, e siccome ne erano tutti forniti, ero certo che un fabbricato grande come il suo non ne sarebbe stato privo” (p.91).
Stando a quel che Barnum riferisce, capitava anche che la gente si ingannasse da sé. Racconta infatti che, mentre assisteva a una funzione religiosa, aveva sentito alcune persone esprimere sotto voce grandi elogi per le capacità canore della ragazza che era con lui e che credevano fosse Jenny Lind, la cantante svedese che l'uomo di spettacolo aveva ingaggiato per una serie di concerti. In realtà la ragazza in compagnia di Barnum era sua figlia Caroline e, annotava divertito l'impresario, “il colmo dell'ironia è che mia figlia non ha mai dato prova di alcun talento vocale” (pp.189-190). Un altro aneddoto che mostra come le persone possano essere influenzate anche da qualcosa che non corrisponde alla realtà avvenne (o, almeno, così ci dice Barnum) nel suo paese di origine, Bethel, nel Connecticut. Superando le resistenze di chi non vedeva di buon occhio i cambiamenti, si era deciso di installare una stufa per riscaldare un edificio nel quale si tenevano le riunioni religiose. Due donne anziane, però, rilevarono che l'aria calda e secca aveva provocato loro un malore. Aveva, allora, ragione chi si era opposto all'introduzione di quel “diabolico ritrovato”? Parrebbe di no perché, in realtà, a causa della mancanza di un paio di pezzi, non si era potuto mettere in funzione la stufa (pp.22-23).
Barnum propose anche degli spettacoli di telepatia. Alla persona cui era attribuita questa facoltà veniva chiesto di descrivere un oggetto che non poteva vedere leggendo il pensiero di chi lo aveva sotto gli occhi. Nelle sue memorie l'impresario rivela che veniva usato il trucco, abbastanza noto, di impiegare parole prestabilite nelle domande. Per esempio, se l'oggetto era nero si faceva la domanda “Che colore è questo?”, se era rosso si usavano le parole “Ordunque, di che colore è?” e così via per altri colori e altre caratteristiche dell'oggetto (pp.212-213).
Ai suoi tempi un gorilla messo in mostra negli Stati Uniti avrebbe suscitato una notevole attrazione e Barnum si adoperò per procurarsene un esemplare. Secondo quel che l'impresario riferì nelle sue memorie, però, la scimmia che gli fu consegnata si rivelò essere un babbuino (pp.290-293).
A proposito di animali, si possono fare alcune precisazioni sulla traduzione di questa edizione. Il buffalo citato nel libro (pp.113-114, 311, 319) non è il bufalo, ma il bisonte . L'antelope vista da Barnum (pp.311, 319) deve essere l'antilocapra e non l'antilope (sia antilopi che antilocapra sono chiamate antelope, ma nel continente americano sono presenti le antilocapre, mentre non ci sono antilopi). Quando l'impresario parla di white whale (pp.219-224) non sta indicando genericamente una “balena bianca”, ma una specie precisa, il beluga.
Giuseppe Tipaldo, La società della pseudoscienza : orientarsi tra buone e cattive spiegazioni, Bologna : il Mulino, 2019
Il rapporto di politica, media e società con la scienza è talvolta complicato. Non sempre ci sono decisioni razionali e non di rado si fanno largo le “cattive spiegazioni” della pseudoscienza.
L'autore compie un'analisi sociologica del fenomeno chiamato “Nimby” (acronimo di “not in my backyard”, “non nel mio cortile), ovvero l'opposizione alla realizzazione nelle vicinanze di opere come “linee ferroviarie, autostrade, impianti per la produzione di energia o lo stoccaggio di scorie, metanodotti, gassificatori”, che con ragioni più o meno fondate, si reputano dannose (p.14) e della sua generalizzazione indicata con l'acronimo “Banana” (“build absolutely nothing anywhere near anything”, ovvero “non costruite assolutamente nulla da nessuna parte vicino a nulla” o, con un'espressione più sintetica, “né qui né altrove”) (p.29) e di ciò che, richiamando l'acronimo “Nimby” sopra citato, propone di chiamare “Nimbo”, ovvero “not in my body” (“non nel mio corpo”) (p.16). In quest'ultima categoria l'autore include gli allarmismi in materia di alimenti, come quelli per l'olio di palma (pp.93-105) e per le carni rosse e lavorate (pp.105-116), l'opposizione a una pratica importante per la salute dei singoli e della società come le vaccinazioni (pp.158-187) e, viceversa, il favore accordato a presunte terapie che, pur senza avere prove a loro sostegno, hanno illuso persone alle prese con malattie gravi promettendo risultati che non sono arrivati, come per il siero Bonifacio (pp.117-125), il metodo Di Bella (pp.125-132, 146-153), il metodo Stamina (pp.132-143, 153-158).
I mezzi di comunicazione, nota Tipaldo, forniscono talora “narrazioni mediatiche spettacolarizzate” (p.115) che non presentano correttamente i dati scientifici oppure, pur facendoli esporre in modo appropriato da studiosi competenti li mettono, per una mal intesa “par condicio”, sullo stesso piano di congetture senza alcuna prova, come se si trattasse di opinioni con la medesima validità (p.75).
L'autore cita l'esempio di una puntata del 2009 del programma televisivo “Porta a porta” dopo il terremoto a L'Aquila. La trasmissione ospitò Giampaolo Giuliani, che ai tempi ottenne una discreta notorietà sostenendo che fosse possibile prevedere i terremoti rilevando la presenza di radon, un metodo che non aveva, e non ha mostrato in seguito, prove a suo sostegno e i cui presunti successi predittivi erano in realtà inconsistenti (pp.72-76). Il ruolo della televisione, con “Mattino Cinque” (pp.133-134), ma soprattutto con “Le iene” (p.134), è stato determinante per il successo di Stamina, rinforzato anche dall'appoggio di diversi personaggi famosi (pp.134, 139, 143). Tipaldo ricorda anche che, nel suo spettacolo teatrale Apocalisse morbida, Beppe Grillo aveva tributato elogi a Liborio Bonifacio e a Luigi Di Bella e alle loro presunte terapie (pp.125, 130).
Osservando le vicende del siero Bonifacio, del metodo Di Bella e di Stamina sembra che la storia si ripeta. I fallimenti passati non insegnano o, almeno, non a tutti. “Un'apparente novità […]”, scrive Tipaldo, “induce […] a ricominciare sempre daccapo, ad agire senza memoria del passato” (p.259). Le storie sembrano seguire uno “stesso canovaccio” (p.271 – l'autore riprende le parole dell'oncologo Umberto Veronesi), con ruoli e funzioni analoghe, tanto che Tipaldo propone di analizzare queste vicende e quelle indicate come Nimby e Banana facendo ricorso alla morfologia delle fiabe di Vladimir Propp (pp.256-270).
Elisa Lottor, Il miracolo della medicina rigenerativa, Vicenza : Il punto d'incontro, 2018
Nell'introduzione, l'autrice scrive che la “medicina energetica” che presenta nel suo libro “si trova all'avamposto più avanzato della ricerca scientifica” (p.16). In realtà, però, nel libro sono proposte affermazioni che, al contrario, non hanno nessun fondamento scientifico.
L'autrice sostiene che l'“energia” (parola da lei usata in modo che nulla ha a che vedere con il significato scientifico del termine) chiamata qi o prana “sia il vero segreto alla base della vitalità di chi scoppia di salute” (p.194) e afferma che “tutte le malattie sono causate da una distorsione della forza vitale”(p.198), ma non esiste alcuna prova neppure che questa misteriosa energia o forza vitale esista. L'autrice menziona con approvazione anche le strampalate idee di Masaru Emoto secondo le quali l'acqua avrebbe reazioni diverse a condizioni favorevoli, come elogi o musica piacevole, e a situazioni sgradevoli (p.141).
Lottor scrive che, “sebbene non esistano prove scientifiche che ne spieghino il funzionamento, i fiori di Bach sono efficaci” (p.206; cfr pp.193, 195). Le “prove scientifiche” hanno invece mostrato che non hanno alcun beneficio su alcun disturbo (si veda la revisione sistematica di Edzard Ernst pubblicata nello “Swiss medical weekly” nel 2010) e dunque non c'è bisogno “che ne spieghino il funzionamento” per il semplice motivo che, appunto, i rimedi floreali di Bach non funzionano.
L'autrice dà credito all'aromaterapia (p.197) e all'omeopatia, ma anche queste sono pratiche inefficaci. Parlando di una donna affetta da tumore con metastasi, Lottor scrive che quello “che le impediva di guarire era la sua scarsa autostima” (un'affermazione priva di plausibilità e anche poco etica, dato che finisce per colpevolizzare la paziente). “L'omeopatia”, dice quindi l'autrice, “offre un rimedio perfetto per questa condizione e gliela consigliai. Di recente ha fatto una TAC che ha evidenziato la scomparsa di qualsiasi traccia di tumore” (p.198). Storie come queste non solo non sono credibili (che l'omeopatia possa far scomparire un tumore non è pensabile e appaiono decisamente improbabili anche spiegazioni diverse come un grossolano errore nella diagnosi o nell'esame di controllo), ma sono anche pericolose perché affidarsi a pratiche inutili in caso di malattie gravi può far trascurare o rimandare le cure reali con conseguenze pesanti per i pazienti.
LIBRI
Mauro Canali – Clemente Volpini, Mussolini e i ladri di regime : gli arricchimenti illeciti del fascismo, Milano : A. Mondadori, 2019
Una delle leggende che circolano sul fascismo è quella secondo la quale a quei tempi non c'era corruzione nella politica. Premesso che, anche se ciò fosse vero, la presunta integrità sotto questo aspetto non cancellerebbe i gravissimi misfatti di cui il regime si è macchiato, l'idea che il regime non fosse intaccato dalla corruzione è infondata. I documenti degli archivi raccontano tutta un'altra storia rivelando interessi privati nella gestione pubblica e favoritismi verso parenti e amici, mostrando “quanto fossero inconsistenti il mito e la retorica dell'onestà fascista” (p.8).
Mussolini utilizzava la polizia politica per raccogliere informazioni sugli intrallazzi, ma non se ne serviva per combattere il malcostume, creando invece dossier che potessero essere usati all'occorrenza quando i personaggi coinvolti fossero diventati per lui scomodi (p.33). D'altra parte Mussolini stesso non si faceva scrupoli a sfruttare il potere per ottenere vantaggi per sé e la moglie (pp.183-204) e per altre persone a lui collegate. Gli autori ricordano i casi di Galeazzo Ciano, marito di Edda, figlia di Mussolini (pp.147-162), e della famiglia Petacci (pp.163-182) per la quale il legame di Clara con Mussolini fu una “manna piovuta dal cielo” (p.170). I favoritismi concessi alla famiglia Petacci erano diventati scontati al punto che, in occasione di un concorso per una cattedra di patologia clinica, Marcello Petacci, fratello di Clara, scrisse al segretario di Mussolini una lettera con una sfacciata richiesta in cui suggeriva “addirittura una cinquina di nomi da piazzare nella commissione giudicatrice” (p.174) in modo da farlo vincere. Marcello Petacci ebbe la cattedra e avrebbe voluto festeggiare con una cerimonia a cui fosse presente un alto esponente del regime, ma Mussolini scrisse una significativa nota di diniego che mostrava che ben sapeva che l'assegnazione era stata frutto di un favoritismo e che era meglio non dare troppo nell'occhio: “No – passa il segno – ci vuole discrezione – si accontenti di avere ottenuto la cattedra” (p.175).
I casi di corruzione potevano essere usati in lotte interne al fascismo, come fece Roberto Farinacci, il “ras di Cremona”, contro il podestà di Milano Ernesto Belloni, attaccandolo dalle pagine del suo giornale “Il regime fascista”. Belloni, con l'appoggio del segretario del partito Augusto Turati, rispose con una querela. Farinacci lasciò però intendere che sapeva bene che nel caso per il quale aveva attaccato Belloni era coinvolto anche Arnaldo Mussolini, fratello di Benito. “Si guarda bene dal dirlo pubblicamente,” scrivono gli autori, “ma al duce il messaggio ricattatorio giunge chiaro”. Turati dovrà dare le dimissioni dalla carica di segretario e Belloni verrà espulso dal partito e condannato a cinque anni di confino. Farinacci “ancora una volta può presentarsi come il camerata che ha salvato il fascismo dalla corruzione e dal malaffare” (pp.79-83). Ma Farinacci era davvero il nemico della corruzione che voleva far credere di essere? Al contrario, dicono gli autori, era il tipico esempio di un fascismo che “fa la voce grossa in piazza”, presentandosi come “intransigente” contro “l'Italia corrotta dei liberali, l'Italia parassitaria dei giolittiani, l'Italia affarista dei pescicani di guerra”, ma poi “conclude affari sottobanco e distribuisce poltrone agli amici, e agli amici degli amici” (p.64). A parole era contro gli speculatori, ma approfittava dal potere per fare intrallazzi a suo vantaggio (pp.73-75 e in generale tutto il capitolo su Farinacci, pp.61-93).
Farinacci si laureò presentando una tesi copiata da quella scritta anni prima da un altro laureando. Scoperto l'inganno, se la cavò con un semplice rimprovero (p.65). Il ras perse la mano destra in Africa per lo scoppio di una bomba. La sua versione era che l'incidente era avvenuto durante un'esercitazione militare e su questa base ricevette una medaglia d'argento al valore e la tessera di mutilato di guerra. La realtà era però che stava pescando lanciando bombe in un lago (pp.84-85).
Gli autori riferiscono vicende di corruzione che ebbero per protagonisti altri nomi di spicco del regime come Alessandro Pavolini (pp.43-60), Edmondo Rossoni (pp.94-112), Guido Buffarini Guidi e Antonio Le Pera (pp.113-143).
La Repubblica sociale italiana (conosciuta anche come Repubblica di Salò) avviò un'inchiesta sugli arricchimenti illecito, ma su 2075 casi ci furono solo sei condanne, quattro delle quali riguardavano, guarda caso, gerarchi che avevano votato contro Mussolini al Gran consiglio (pp.34-35).
L'idea che il regime fascista fosse immune alla corruzione, dunque, è solo un mito e, anzi, il Ventennio fu un periodo in cui il malaffare fu decisamente molto marcato.
Francesco Filippi, Mussolini ha fatto anche cose buone : le idiozie che continuano a circolare sul fascismo, Torino : Bollati Boringhieri, 2019
Può capitare che durante qualche discussione qualcuno, magari dopo la premessa “io non sono fascista ma”, affermi che comunque è stato il fascismo a dare le pensioni agli italiani oppure che il regime fascista si è distinto per le opere di bonifica o ancora che a quei tempi non c'era la corruzione diffusasi nella politica in tempi più recenti. E i treni arrivavano in orario.
Premesso che tali presunti meriti in ogni caso non potrebbero certo compensare la sistematica violazione dei diritti umani perpetrata dal regime fascista, tali affermazioni non sono neppure veritiere.
Il sistema pensionistico italiano muove i suoi passi nel 1895 ed è che con la riforma del 1919 che viene garantito a tutti i lavoratori (pp.8-9). Dunque, gli italiani avevano le pensioni già prima che Mussolini prendesse il potere. Gli interventi del regime fascista, scrive Filippi, nel tentativo di “asservire e rendere controllabile il sistema direttamente dai vertici del potere”, causarono anzi “l'appesantimento del sistema e la sua progressiva inefficienza” (p.11). Inoltre dai fondi costituiti con i contributi dei lavoratori il regime attingeva risorse “per scopi diversi da quelli istituzionali” (pp.12-13, 17).
Non si può neppure dire che fu il fascismo a dare ai lavoratori italiani la tredicesima. Il regime la concedette solo agli impiegati del settore industriale. Solo nel 1946 fu estesa a tutto il settore e nel 1960 fu data a tutti (pp.13-15).
Il regime fascista fece molta propaganda sugli interventi di bonifica (pp.18-28). Venne dichiarato che si sarebbe fatta la bonifica di tutti gli otto milioni di ettari di territori malsani. Nel 1933 il regime annunciò la sua vittoria, ma i conti, osserva l'autore, non tornavano. Si parlava ora di quattro milioni di ettari, la metà di quanto era stato messo in preventivo. La situazione reale, poi, era ancora più scarsa. Per una metà di quei quattro milioni di ettari i lavori erano ben lontani dall'aver raggiunto risultati apprezzabili o anche solo “immaginati”. Alla fine risultavano bonificati circa due milioni di ettari e per la maggior parte (1,5 milioni di ettari) si trattava in realtà di bonifiche fatte prima che il fascismo prendesse il potere (p.27). Al di là della retorica di regime, dunque, i risultati furono molto limitati. La conclusione di Filippi è netta: “La soluzione del regime era sbagliata nei propri presupposti, inefficace nei correttivi e per di più rimase incompiuta” (p.28).
Il fascismo si adoperò per garantire una casa a tutti gli italiani? Anche in questo caso l'affermazione è smentita dai fatti. La legislazione sull'edilizia popolare era già stata avviata prima del triste ventennio e il regime, da parte sua, mostrò maggiore interesse per le costruzioni celebrative che per i problemi abitativi della popolazione. La politica in questo campo fu in quegli anni molto carente e si fece molto di più nel dopoguerra (pp.31-37). Il terremoto dell'Irpinia e del Vulture del 1930 mostrò l'inefficienza del regime fascista nell'occuparsi della ricostruzione (pp.38-40). Il regime non brillò neppure nella costruzione delle strade (pp.40-42) e non è neppure vero che i treni fossero così puntuali (pp.120-121).
Nel ventennio fascista non ci sarebbe stata corruzione nella classe politica? La realtà è ben diversa e gli studi mostrano che c'era un “malaffare diffuso” e che regnava il clientelismo (p.50). L'Ovra, la famigerata polizia politica fascista, raccoglieva informazioni su quanto facevano persone con ruoli importanti nel regime. Mussolini era così al corrente del fatto che ci fossero numerosi casi di corruzione e di ruberie, ma non interveniva e si limitava a conservare le relazioni per “accumulare armi di ricatto nei confronti di suoi possibili oppositori interni” (p.52). Lo stesso Mussolini, peraltro, approfittò del potere per avere vantaggi personali (pp.53-54).
Un'altra bufala sul fascismo italiano è quella secondo la quale il regime non era razzista e varò le leggi razziali per la pressione della Germania nazista. Premesso che, anche se così fosse, tali leggi resterebbero in ogni caso un marchio di infamia per il regime, in realtà il razzismo era già presente nel fascismo italiano. Le leggi razziali contro gli ebrei ricalcavano le norme razziste emanate contro le popolazioni africane nelle colonie (pp.111-112).
Silvia Bencivelli, Sospettosi, Torino : Einaudi, 2019
Non sono poche le persone che si affidano a presunte terapie che, alla prova dei fatti, non hanno mostrato efficacia o diffidano, al contrario, di pratiche di indubbia validità come le vaccinazioni. Si tratta solo di complottisti, di ignoranti e di presuntuosi che contestano i dati scientifici in base a idee strampalate e sciocchezze trovate in rete? “Comincio a pensare di no. O almeno, non soltanto”, scrive l'autrice, convinta che “gli ignoranti, i barricaderi, i paranoici esistono davvero” (p.6), ma che non tutti quelli che hanno fatto “una scelta antiscientifica” (p.13) possano essere così etichettati e che ci siano tra loro anche persone per altri versi ragionevoli.
L'autrice ha voluto quindi incontrare alcune di queste persone per farsi raccontare la loro esperienza e le motivazioni, magari di per sé anche serie, che li hanno portati a una decisione errata. Sul fatto che sia una decisione errata affidarsi a pratiche per le quali non ci sono prove di efficacia, ed anzi si hanno magari anche prove che siano inefficaci, Bencivelli non ha peraltro alcun dubbio. Così nel libro da una parte riferisce le storie raccolte dialogando amichevolmente con questi “sospettosi” e “delusi e confusi dalla medicina e della scienza” (come si legge nella presentazione sulla copertina), o da chi per loro le ha rappresentate, dall'altra fa riferimento ai fatti appurati con metodo scientifico. Su ciò, anzi, sostiene, a ragione, che si debba essere rigorosi e che non si possa “dare la stessa voce a uno scienziato vero e a un contafrottole” (p.54).
Non sono, peraltro, solo i pazienti a fare scelte contrarie ai dati scientifici. Ci sono anche medici che propongono pratiche senza fondamento come l'omeopatia. La Federazione degli ordini dei medici (Fnomceo), sul suo sito “Dottore, ma è vero che...?”, creato per smentire le false informazioni nel campo della medicina, ha pubblicato una pagina sull'omeopatia, scritta da Salvo Di Grazia, nella quale, sulla base delle prove scientifiche, si afferma che tale presunta terapia non serve a nulla. Bencivelli elogia questo testo: “E' una bella nota, chiara e ben scritta. Finalmente netta”. Dal momento che la Fnomceo riconosce in questo modo l'inutilità dell'omeopatia, l'autrice si chiede però, giustamente, “perché allora possa essere praticata dai medici” (p.74).
Tra le scelte antiscientifiche, oltre al ricorso a pratiche inutili, c'è il rifiuto di interventi di importanza fondamentale per la salute individuale e collettiva come le vaccinazioni. L'autrice, peraltro, cita uno studio pubblicato su “Vaccine” che mostra come gli antivaccinisti facilmente erano anche favorevoli alle cosiddette medicine alternative: “i due comportamenti si presentavano fortemente associati” e, come dice l'autrice citando il titolo dell'articolo cui fa riferimento, “riflettono il pensiero magico sulla salute” (pp.33-34).
Un capitolo del libro è dedicato all'alimentazione. Bencivelli commenta con ironia le affermazioni di chi sottolinea “quanto è «tradizionale»” il suo prodotto: “fingono di darti da mangiare come ai tempi dei nonni (falso, per fortuna nostra) e quindi sano (falsissimo, per sfortuna dei nonni)” (p.112). C'è la moda degli alimenti “senza”. Tanti prodotti, per esempio, mostrano in evidenza la scritta “senza glutine”. L'indicazione, precisa l'autrice, è “sacrosanta e indispensabile per le persone con diagnosi di celiachia” (p.123). Per chi non è celiaco o intollerante alla sostanza, però, non c'è alcun vantaggio nell'evitare il glutine e, se si scelgono tali prodotti per dimagrire, si potrebbe ottenere invece l'effetto contrario dato che, avvisa Bencivelli, per supplire alla mancanza di glutine possono essere usati addensanti contenenti lipidi e zuccheri (p.124; v.a. p.129).
Nel libro sono menzionate anche pratiche pittoresche come i riti di una sciamana della Buriazia che, commenta una degli interlocutori dell'autrice, “dal punto di vista estetico poteva anche essere bello”, ma che ovviamente non curava nulla (pp.93-95) e il “canto carnatico”, dell'India del Sud, con il quale, ripetendo “aeioum” per diversi minuti su un'unica nota, si otterrebbe, “attraverso una connessione tra l'apparato fonatorio (bocca e laringe) e quello riproduttivo (la vagina e la cervice uterina)”, un parto più facile (p.228).
Andreas Michalsen, Curarsi con la forza della natura, traduzione di Laura Pacciarella, Milano : Sonzogno, 2018
Quando già nel titolo della prefazione compare la locuzione “medicina naturale” (p.11), è “naturale” diffidare del libro. Proseguendo nella lettura la diffidenza viene confermata. Un consiglio indubbiamente valido come quello di fare attività fisica (pp.198-210) è disperso tra molte affermazioni prive di fondamento.
L'autore dà credito a pratiche per le quali il verdetto delle prove è negativo come la coppettazione (pp.77-80), l'idroterapia di Kneipp (pp.90-100) e le pratiche ayurvediche (pp.251-273). Queste ultime, come quelle della medicina tradizionale cinese, secondo l'autore avrebbero una avanzata “conoscenza delle energie” (p.43), ma, in realtà, non esiste alcuna prova neppure dell'esistenza di queste misteriose “energie” di cui parla. Nonostante non vi siano prove dell'efficacia dei trattamenti ayurvedici, l'autore ne sostiene l'utilità persino per patologie serie come il diabete (p.265) e la malattia di Parkinson (pp.265-266).
Nelle conclusioni, Michalsen scrive che “la medicina naturale deve ricevere maggiori finanziamenti” (p.326) e cita alcuni esempi di sovvenzioni pubbliche. Queste pratiche, però, non hanno mai dimostrato di poter recare benefici. Si dovrebbe quindi suggerire, al contrario, di evitare di sciupare risorse pubbliche per finanziarle e di sostenere, invece, studi più promettenti.
LIBRI
Roberto Burioni, Omeopatia : bugie, leggende, verità, Milano : Rizzoli, 2019
Un aspetto che caratterizza i preparati omeopatici sono le ripetute diluizioni. Con ironia l'autore annuncia all'inizio del libro che sottoporrà l'omeopatia al vaglio dei dati scientifici “senza alcuna diluizione” (p.11).
Il principio fondante dell'omeopatia, da cui deriva anche il nome dato a questa pratica, è quello secondo il quale “il simile cura il simile”, ovvero una sostanza che produce un sintomo, quando venga assunta dopo essere stata diluita, sanerebbe il disturbo che si manifesta con tale sintomo. “Alla luce delle conoscenze attuali”, come nota Burioni, questa “teoria alla base dell'omeopatia non ha nessun senso” (p.45). “Agli inizi dell'Ottocento”, scrive l'autore, “non era evidente che queste teorie non stanno in piedi; oggi, invece, è impossibile non accorgersene” (p.49; cfr p.159).
La scelta del “simile” è, per diversi prodotti proposti come preparati omeopatici, decisamente curiosa. Burioni riporta vari esempi (pp.97-114), tra i quali quello di una diluizione omeopatica di un frammento del muro di Berlino (p.102). Certamente molti omeopati prenderebbero le distanze da un preparato a base di muro di Berlino, definendolo una semplice eccentricità individuale. Si deve però osservare che uno dei più diffusi prodotti omeopatici non è poi meno assurdo, dal momento che utilizza come sostanza di partenza l'oscillococco, un presunto batterio che Joseph Roy avrebbe osservato nei malati in influenza, arrivando alla conclusione che ne fosse la causa (pp.18-22). Secondo il principio del “simile”, dunque, somministrare l'oscillococco diluita dovrebbe guarire dall'influenza. In realtà, il fantomatico batterio non solo non è l'agente patogeno dell'influenza, che tra l'altro è di origine virale e non batterica, ma neppure esiste. Cosa aveva visto, allora, Roy? Una spiegazione avanzata per il suo abbaglio, riferita da Burioni nel libro, è che in realtà le forme che aveva scambiato per batteri fossero semplicemente “bolle d'aria che si formano tra i campioni e i vetrini coprioggetto” (p.23). Per un ulteriore paradosso, comunque, il fatto che il batterio non esista è, in fin dei conti, ininfluente, dato che la materia prima utilizzata (tratta da fegato e cuore dell'anatra muschiata che, secondo chi lo produce, conterrebbero l'oscillococco) è sottoposta, nel prodotto diffuso in commercio, a un tale grado di diluizione che di qualunque cosa fosse presente all'inizio non può esserci più traccia.
Le ripetute diluizioni (pp.57-64) rappresentano un altro problema delle congetture omeopatiche. L'affermazione dell'autore secondo la quale nei preparati omeopatici non c'è nulla (p.159) è vera alla lettera per una parte notevole dei prodotti. Un calcolo con il numero di Avogradro mostra che, andando oltre la dodicesima diluizione centesimale, diventa sempre più inverosimile che nel prodotto si trovi una singola molecola della sostanza di partenza, il che porta all'ovvia domanda su come possa avere un qualunque effetto qualcosa che non c'è (per superare questo ostacolo i sostenitori dell'omeopatia fanno ricorso a un'altra idea che non ha retto alla prova dei fatti, quella di una presunta “memoria dell'acqua” – pp.65-87). Con un numero minore di diluizioni, il prodotto conterrà ancora il principio attivo, ma il fatto che la sostanza sia presente non significa che la quantità contenuta sia rilevante e possa produrre effetti. In una diluizione CH6, per esempio, che nel contesto dei preparati omeopatici è modesta, della sostanza iniziale ci sarà solo una parte su mille miliardi.
Essendo queste le premesse, non può certo sorprendere che gli studi clinici abbiano mostrato, come si rileva dalle migliori revisioni sistematiche, che l'omeopatia ha risultati pari al placebo.
Burioni scrive che, fermo restando che chi esercita la professione di medico e di farmacista non può non sapere che si tratta di una pratica senza valore (p.161), si può discutere se sia opportuno che l'omeopatia sia considerata di pertinenza dei medici e venduta in farmacia. Una posizione è quella secondo la quale, “siccome in concreto la gente utilizza l'omeopatia, sia meglio che a prescriverla sia un medico” che dovrebbe saper valutare se in quel caso non c'è un reale bisogno di un farmaco e quindi si può dare un prodotto omeopatico confidando nell'effetto della suggestione oppure se serve un vero farmaco. Una diversa posizione, che pare migliore, è quella di chi ritiene che il medico non dovrebbe comunque ingannare il paziente, che medici e farmacisti non dovrebbero dare prodotti che valgono quanto “le pozioni d'amore, gli amuleti e i filtri magici” e che quindi “sarebbe opportuno togliere l'omeopatia dagli studi medici e dalle farmacie e relegarla – al massimo – nei reparti dei supermercati dove vengono vendute le tisane rilassanti” (p.162). E' questa seconda posizione quella alla quale Burioni si sente più vicino. In ogni caso l'autore indica dei punti fermi che dovrebbero essere anche da chi preferisce la prima posizione. “Non è in alcun modo accettabile che un medico ometta una cura vera per somministrare il nulla”, scrive Burioni. Un medico che lo faccia deve essere “sbattuto fuori dall'Ordine dei medici” (pp.162-163). L'autore ritiene a ragione inaccettabili che qualche ordine provinciale dei medici proponga corsi di aggiornamento che presentano l'omeopatia come una pratica medica. “Si può discutere”, scrive Burioni, “se sia opportuno che l'omeopatia sia prescritta da medici per limitare il danno, ma non è in alcun modo possibile che i medici e gli Ordini dei medici si rendano complici nel disinformare i pazienti propagando una teoria che ha lo stesso fondamento scientifico dell'oroscopo” (p.164). Ancora peggio, afferma l'autore, è se viene proposta come se fosse vera medicina nelle università: “insegnare l'omeopatia in una facoltà di Medicina è come insegnare a fare oroscopi in una facoltà di Astronomia” (p.164).
L'omeopatia e altre pratiche senza prove di efficacia non dovrebbero avere spazio nella sanità pubblica, ma, come nota Burioni con giustificato disappunto, “nell'ambito del Servizio sanitario nazionale (quindi a nostre spese, con soldi sottratti alle cure vere), esistono un Ambulatorio di omeopatia (a Lucca) e il Centro di medicina integrata dell'ospedale di Pitigliano” (p.169).
Come scrive in modo efficace l'autore, “non esiste una «medicina alternativa»: esistono invece pericolose quanto inefficaci alternative alla medicina” (p.173 – abbiamo omesso l'aggettivo “tradizionale” posto nel libro alla fine del passo citato dato che può risultare fuorviante: la definizione “medicina tradizionale” viene usata per le pratiche che derivano, appunto, da una tradizione precedente all'approccio scientifico alla medicina, mentre è chiaro che Burioni intende riferirsi alla medicina basata sulle prove scientifiche di efficacia).
Bobby Duffy, I rischi della percezione, traduzione di Francesca Pe', Torino : Einaudi, 2019
Conoscere i fatti è fondamentale. E', però, importante anche conoscere la percezione che la gente ha dei fatti. Nel libro vengono presentati i risultati di sondaggi su come le persone, in vari stati, stimano l'entità di diversi fenomeni. Prendendo qualche esempio tra i temi trattati nel libro, il numero di immigrati, per esempio, è ritenuto molto più alto di quello che in realtà i dati mostrano essere (p.69), in paesi (tra i quali l'Italia) in cui i crimini sono in calo, anche con diminuzioni notevoli, prevale la percezione che siano invece in aumento (pp.92-93), i tassi di disoccupazione sono sovrastimati (pp.114-115).
Mostrare i dati che contraddicono le percezioni erronee non sempre funziona. Quando sono coinvolti pregiudizi radicati, la reazione può essere addirittura un arroccamento sulla posizione che corrisponde a tali pregiudizi, per quanto smentita dai fatti (p.43). Duffy ritiene che si debba anche saper raccontare storie significative che possano “cambiare l'immagine mentale della gente” (pp.194-195), senza per questo rinunciare a presentare i fatti. Non serve, sostiene l'autore, fornire una mole enorme di dati, ma il riferimento ai fatti non deve mai mancare (p.74).
Duffy rileva che, purtroppo, è diffuso un “atteggiamento lassista verso i fatti”(p.133), mentre “l'uso improprio dei fatti è una cosa sbagliata, punto e basta, e i responsabili dovrebbero essere chiamati a rispondere, specie quando la disinformazione ha conseguenze significative, come nel dibattito sui vaccini” (p.194; sul tema della vaccinazioni, pp.15-20).
Un aiuto può indubbiamente venire dalla scuola che, come suggerisce l'autore, può aiutare gli studenti a comprendere qualche nozione di statistica (Duffy invita a usare esempi concreti e accattivanti per evitare che una trattazione troppo astratta annoi i ragazzi) e può stimolarli a sviluppare il pensiero critico (pp.192-193).
Elena Fattori, Il medioevo in Parlamento, Milano : Rizzoli, 2019
La pseudoscienza è riuscita in più di un'occasione a trovare sostenitori nel mondo della politica. L'autrice, una senatrice che in passato ha lavorato come ricercatrice, ha potuto osservarlo dall'interno del Parlamento e del Movimento 5 Stelle, il partito per il quale è stata eletta e del quale faceva ancora parte quando il libro è stato scritto e pubblicato (alcuni mesi dopo ha lasciato il Movimento passando nel gruppo misto).
Fattori osserva che su temi come il metodo Stamina, la sperimentazione animale e le vaccinazioni spesso non sia stata ascoltata la voce della scienza, rivolgendo peraltro qualche rimprovero anche a se stessa. Nel libro ricorda di aver votato a favore del decreto del ministro della salute Renato Balduzzi del 2013 che conteneva, tra le altre, disposizioni che favorivano la prosecuzione dell'attuazione del metodo Stamina. Nonostante le critiche del mondo scientifico, il voto delle due camere fu quasi all'unanimità favorevole. L'autrice scrive che ai tempi si era data “tantissimi alibi”, ma che in realtà era stata “succube e complice” di un “sistema canaglia” e, anzi, “una complice ancora più colpevole” di altri perché le sue conoscenze scientifiche le mostravano che la presunta terapia non aveva alcun fondamento (p.43). Fattori fa autocritica anche sul tema della sperimentazione animale scrivendo che il suo tentativo di “conciliare l'inconciliabile” non solo non aveva avuto effetto su coloro che erano contrari (l'autrice riferisce di avere anche ricevuto minacce da “fanatici animalisti”), ma le aveva anche fatto perdere la fiducia dei ricercatori (p.91).
Diversi esponenti del Movimento 5 Stelle hanno preso posizioni pseudoscientifiche, a partire dal fondatore del partito, Beppe Grillo. Fattori lo elogia come uomo di spettacolo (“un comico eccezionale” - p.107) e come politico, ma critica le sue affermazioni infondate sui vaccini (pp.104-107) e sull'aids (pp.117-118), pur cercando di trovargli delle giustificazioni che, però, non sono molto convincenti (per le affermazioni sui vaccini: “Non aveva grandi colpe Beppe, allora semplicemente riprendeva le notizie eclatanti dell'epoca” - p.107; per quelle sull'aids: “che io ricordi, Beppe non ha mai smentito nulla, né chiesto scusa, ma credo che sia stato un modo per difendersi dagli attacchi ingiustificati e violenti per le sue giuste critiche alla corruzione della politica” - p.119).
Ovviamente l'autrice saluta con favore i passi compiuti in seguito da Grillo in direzione opposta, come un post contro l'omeopatia apparso sul suo blog e l'adesione al Patto trasversale per la scienza proposto da Guido Silvestri e Roberto Burioni, che implica anche un ripensamento sulla questione delle vaccinazioni (p.163).
La tirata di Grillo contro i vaccini nei suoi spettacoli era purtroppo diventata, scrive Fattori, “la verità assoluta per tutti gli attivisti che non capivano nulla di scienza e di medicina” e che “il principio di intoccabilità e di infallibilità di Beppe ha sempre messo un serio freno alla diffusione di un'opinione serena e corretta sulla questione vaccini” (p.109).
L'autrice scrive che il programma elettorale del 2018 del Movimento 5 Stelle inizialmente “non recava una sezione vaccini”, ma in seguito qualcuno mise mano al testo e “fu aggiunto un capitolo sui vaccini denso di follie antivacciniste, compreso l'inconcludente richiamo ai vaccini monovalenti, denominati in maniera impropria “monodose”, facendo capire che la “manina” che aveva modificato il programma (non si seppe mai chi fu) era anche piuttosto ignorante sul tema” (p.162).
Che nelle file del partito ci fossero persone ostili ai vaccini era noto. Secondo un retroscena raccontato nel libro, quando, nel 2016, il programma televisivo “Virus” decise di parlare del tema delle vaccinazioni, contattò il Movimento 5 Stelle chiedendo se un loro esponente poteva partecipare alla puntata e, quando era stato proposto proprio il nome di Fattori, “dal programma avevano rifiutato chiedendo specificamente qualcuno contrario ai vaccini. Subodorando la fregatura non andò nessuno del gruppo parlamentare” (pp.155-156). La puntata andò in onda proponendo un “improponibile confronto” tra il virologo Roberto Burioni, che sulla base dei fatti sosteneva l'importanza delle vaccinazioni, da una parte e dall'altra l'attrice Eleonora Brigliadori e il conduttore di programmi musicali Red Ronnie che esprimevano la loro contrarietà alle vaccinazioni con affermazioni prive di fondamento (p.155).
Un altro retroscena nei rapporti con i media riguarda il giornale “Il Fatto quotidiano”. Fattori scrive che, quando il quotidiano aveva accettato come inserzione a pagamento una pagina di propaganda antivaccinista, aveva giustamente espresso il suo disappunto al direttore Marco Travaglio dicendo che “dando informazioni false e terroristiche mettevano a rischio la vita dei cittadini, come confermato unanimemente dalla scienza ufficiale”. Secondo quel che riporta l'autrice, Travaglio, riferendosi alla “scienza ufficiale” (l'uso di questo aggettivo non è molto azzeccato, ma è diffuso), aveva risposto: “Quella gliela raccomando” (pp.157-158).
Smentendo un leitmotiv degli antivaccinisti, Fattori ricorda che i vaccini non sono non tra i prodotti più redditizi per l'industria farmaceutica (p.140). Fa anche notare che c'è chi guadagna grazie alle bufale antivacciniste, dagli avvocati pagati per chiedere che l'autismo sia riconosciuto come danno da vaccino, nonostante sia appurato oltre ogni dubbio che i vaccini non causino l'autismo (pp.145-147) a chi propone i “cosiddetti test prevaccinali, costosi e totalmente inutili nel predire la reazione a un vaccino” (p.148).
Unendo due dei temi trattati nel libro, l'autrice nota un paradosso: “la stessa sarabanda di soggetti che pochi anni prima aveva strepitato per iniettare nei bimbi la porcheria indefinita di Stamina si stracciava le vesti per impedire di somministrare i vaccini, che sono i farmaci più controllati del mondo” (p.152).