Colverde - Parè

Colverde - Parè

2021

Pagina di presentazione di "Mah"

 

  • n. 63 - marzo 2021

LIBRI

Eugenia Tognotti, Vaccinare i bambini tra obbligo e persuasione: tre secoli di controversie : il caso dell'Italia, Milano : Franco Angeli, 2020

In questo ben documentato libro, l'autrice ripercorre la storia delle vaccinazioni in Italia e in particolare degli aspetti sociali e politici a esse legati, con numerosi e precisi riferimenti a scritti di sostenitori e oppositori dei vaccini, a leggi, discussioni e interrogazioni parlamentari, sentenze e altri documenti.
Nonostante i fatti ne abbiano mostrato l'inconsistenza, le posizioni antivacciniste hanno accompagnato costantemente la storia delle vaccinazioni, ripresentandosi con modalità analoghe e ripetendo spesso gli stessi argomenti, pur se già ampiamente smentiti. Nell'introduzione l'autrice nota, per esempio, la somiglianza tra le affermazioni di Carlo Ruata, “«pioniere» dell'antivaccinismo in Italia”, e quelle fatte un secolo dopo da Beppe Grillo nel suo spettacolo Apocalisse morbida (pp.20-21).
La deplorevole abitudine degli antivaccinisti di presentare come effetto delle vaccinazioni problemi di salute che in realtà non sono causati dai vaccini è nata ben prima che internet e i social network le offrissero un canale per raggiungere un gran numero di persone. Come riferisce Tognotti (p.88), già nel 1806 il medico Antonio Miglietta, nella sua opera Sull'origine e il merito dell'inoculazione vaccina, rilevava che “qualunque eruzione cutanea delle più consuete ai bambini; qualunque febbre viscerale […]; il solito corredo convulsivo della dentizione; un deperimento per mancanza di nutrizione, e qualunque altro disordine di simil fatta, tutto va dovuto all'inoculazione vaccina per coloro che ingiustamente ne sono prevenuti in contrario”.
Non sono nuovi neppure i tentativi di darsi una parvenza di scientificità con un “ampio ricorso a dati numerici, a tabelle e a statistiche”, anche se non veritieri o presentati in maniera ingannevole (pp.129-131).
Gli Stati che volevano promuovere le vaccinazioni dovevano tenere conto anche delle diffidenze, o almeno dell'indifferenza, che potevano incontrare in parte della popolazione e persino dei medici muovendosi, come dice il titolo del libro, “tra obbligo e persuasione”.
L'obbligo di vaccinazione da parte di uno Stato fa la sua prima apparizione proprio sul territorio italiano. Il primo Stato a introdurlo fu infatti, nel 1806, il principato di Lucca e Piombino, governato da Elisa Bonaparte, sorella di Napoleone, e dal marito di lei, Felice Baciocchi. Il provvedimento stabiliva che tutti gli abitanti, se non avevano già preso il vaiolo acquisendo in tal modo l'immunità, dovessero fare il vaccino contro tale malattia (a quei tempi l'unico esistente) e che fosse obbligatorio vaccinare i nuovi nati entro due mesi dalla nascita (pp.105-106).
Nel periodo napoleonico in Toscana (assegnata da Napoleone alla già citata sorella Elisa Bonaparte) si decise che i medici che si fossero opposti alla vaccinazione sarebbero stati sospesi dal servizio (pp.106-107). Un editto del 1822 di papa Pio VII stabilì che i medici che non si fossero prestati a eseguire gratuitamente le vaccinazioni in due sessioni annue sarebbero stati privati delle condotte di cui fossero titolari (p.107).
Il timore che le malattie contagiose potessero diffondersi nelle scuole portò già nel XIX secolo a norme che vietavano l'accesso agli alunni non vaccinati (p.93). Nel regno d'Italia, la legge del 22 dicembre 1888, che rendeva obbligatoria la vaccinazione antivaiolosa, stabiliva che senza di essa non si potessero frequentare le scuole (pp.117-118). 

Francesca Vecchioni, Pregiudizi inconsapevoli : perché i luoghi comuni sono sempre così affollati, Milano : Mondadori, 2020

Il modo in cui le persone vedono il mondo in cui vivono, dai semplici fatti di vita quotidiana agli eventi di rilevanza nazionale e internazionale, è spesso condizionato da svariati bias. Un ruolo notevole ha il bias di conferma che porta a vedere con maggiore favore quanto è favorevole all'idea che già ci si è fatti e “a non mettere in dubbio informazioni di altri se sono a supporto delle nostre tesi” (p.61). “La tendenza a trovare correlazioni è un altro bias”: si tende a cercare uno schema nei fatti osservati “e noi ci riusciamo così bene che lo troviamo anche dove non c'è” (pp.61-62). C'è l'effetto alone per il quale il giudizio, per esempio sulla colpevolezza o sulla gravità della colpa, viene influenzato da fattori “come lo status sociale, l'etnia, o anche la bellezza dell'imputato” (p.66). Questi e altri bias sono nominati nelle pagine del libro.
L'autrice ha “deciso di non trattare ogni dinamica cognitiva in maniera puntuale e accademica” (p.129) e affronta l'argomento con uno stile colloquiale. Nelle ultime pagine, comunque, si trova un elenco di bias con una breve descrizione (pp.131-141).
Vecchioni osserva che anche essere consci dell'esistenza dei bias “non ci salverà dal continuare a cascarci” (p.121). In effetti, qualche bias sembra presente anche nel suo libro. L'autrice accoglie con entusiasmo la tesi di Marija Gimbutas secondo la quale ci sarebbe stata nel Neolitico una civiltà matriarcale, “pacifica e collaborativa […] strettamente correlata con i ritmi della natura […] e le cui divinità erano femminili” (p.43). Sono caratteristiche che l'autrice vede con favore e sembra che questo l'abbia portata a cadere in un bias di conferma quando presenta le affermazioni della studiosa lituana come dimostrate “oltre ogni dubbio” (p.43). In realtà, tra gli archeologi non mancano certo i dubbi sulle congetture di Gimbutas.
Vecchioni sostiene a ragione che bisogna diffidare degli stereotipi come quello secondo cui “le donne non sanno guidare” (titolo del quarto capitolo), ma lei stessa cade in un luogo comune quando scrive che ci sono culture, “dalla nativo-americana alla pakistana, alla tailandese”, che, rispetto a quella occidentale, “hanno vissuto in maggior equilibrio e ascolto la relazione con la natura, gli altri animali e in generale i cicli della Terra” (p.36).
Anche se non è semplice tenere sempre sotto controllo “tutte le dinamiche e gli automatismi che ci possono far cadere in errore”, è uno sforzo che è utile fare e che, come osserva giustamente Vecchioni, diventa un impegno doveroso “tutte le volte in cui una nostra scelta, un nostro commento o azione contribuiscono a rafforzare un pregiudizio” che va a discapito di qualche persona o gruppo (p.121). 

MariaGiovanna Luini, La via della cura : ventitré passi per superare le prove della vita e ritrovare l'equilibrio, Milano : Mondadori, 2020

L'autrice, una senologa che lavora all'Istituto europeo di oncologia, scrive che “discutere con un medico non significa presentarsi in studio con pile di documenti scaricati da improbabili siti internet senza una remota base scientifica” (p.34). Purtroppo, però, anche questo suo libro è un insieme di affermazioni “senza una remota base scientifica”.
MariaGiovanna Luini (nome usato in questo e altri suoi libri da Giovanna Maria Gatti – Luini è il cognome del marito, anch'egli medico all'Istituto europeo di oncologia) scrive che valuta “allo stesso modo chi rifiuta la medicina convenzionale e gli iperscientisti: chiusi, non disponibili al dialogo e a scoprire quanto di bello esista nell'integrazione di più filosofie di cura”. Prosegue dicendo che “purtroppo esistono medici e ricercatori che rifiutano di dibattere con i pazienti o con i colleghi su principi naturali o tecniche energetiche” (p.31). Per quanto ciò susciti il disappunto dell'autrice, questi medici e ricercatori “iperscientisti” hanno ragione: in medicina contano le prove di efficacia, non le filosofie o i “principi naturali”.
Luini dice che se coloro che sono (giustamente) scettici “aprissero la pagina internet PubMed (un motore di ricerca dove si trovano le pubblicazioni scientifiche di tutto il mondo), scoprirebbero che per fortuna non tutti la pensano come loro e che gli studi clinici sull'healing touch (il «tocco che cura», come Reiki, Pranic Healing, pranoterapia) e su molti rimedi naturali esistono eccome” (p.31; analoghe affermazioni a p.73). Facendo la ricerca suggerita dall'autrice si scoprirà, però, che gli studi clinici, al contrario di quanto afferma Luini, non provano l'efficacia di tali pratiche (si può vedere la revisione sistematica di M. S. Lee, H. Pittler e E. Ernst, Effects of reiki in clinical practice: a systematic review of randomised clinical trials, “International journal of clinical practice”, 62 : 6, 2008, pp.947–954).
L'autrice consiglia anche i fiori di Bach. Scrive di avere “ottenuto i diplomi di abilitazione alla prescrizione del Bach Centre in Inghilterra” e afferma: “non ho dubbi sulla loro efficacia” (p.122; v.a. pp.65, 174-175). I dubbi, però, dovrebbe averli perché, anche in questo caso, una revisione sistematica degli studi clinici su questi presunti rimedi ha mostrato che le pretese di efficacia sono infondate (Edzard Ernst, Bach flower remedies: a systematic review of randomised clinical trials, “Swiss medical weekly”, pubblicazione online il 24 agosto 2010).
Di uno dei fiori di Bach, Luini scrive che “contribuisce allo sviluppo delle facoltà sensitive e medianiche” (p.122). L'autrice ritiene che queste presunte facoltà possano addirittura essere di aiuto in medicina e riferisce che collabora con “medium medici” (p.194). Cita a sostegno di questa bizzarra idea i casi di Edgar Cayce, il “profeta dormiente” e di Gustavo Adolfo Rol (pp.132-133), prendendo per buone le voci, mai dimostrate, che fossero in grado di fare diagnosi corrette con metodi paranormali (pp.132-133).
Luini riferisce che in uno dei luoghi in cui presta la sua opera ha “notevole successo” l'idrocolonterapia (p.63). Ancora una volta si tratta di una pratica che non ha validazione scientifica e che, peraltro, comporta anche qualche rischio per la salute di chi vi si sottopone.
L'autrice scrive che nelle sessioni di reiki esamina i chakra (pp.18, 78-79; cfr p. 220), ma, nonostante la pomposa definizione di “centri principali di scambio energetico tra noi e l'universo” (p.79), non c'è alcuna prova che i chakra esistano e, anzi, alla luce delle conoscenze della fisiologia umana si può senza dubbio escluderlo. Luini, però, ne parla come se fossero qualcosa di reale e racconta che, essendosi “soffermata a lungo sul chakra della gola” di una cliente, aveva percepito “un grosso ingorgo […] nella sua aura (il campo energetico umano [...])” (p.18). L'autrice scrive che nelle sue “sessioni di energia” usa “tecniche che ripuliscono il campo energetico eliminando tossine e accumuli” (p.107) e afferma che “nell'healing touch […] si può decidere di rimuovere le tossine dall'aura invece di energizzare in modo acritico” (p.63). Come i chakra, però, anche l'aura non esiste (il termine “aura” in medicina indica un disturbo visivo che può precedere un attacco di emicrania e non ha ovviamente nulla a che fare con il presunto “campo energetico umano”). E le “tossine” dalle quali l'autrice sostiene di poter liberare l'(inesistente) aura? Le tossine sono sostanze dannose per gli esseri viventi prodotte da un organismo, per esempio quelle che rendono velenoso un fungo o quelle contenute nel veleno di un serpente. Evidentemente, però, l'autrice non si riferisce a ciò, quando parla di queste sostanze, ma fa riferimento all'uso inappropriato che di questo termine si fa spesso nelle cosiddette “medicine alternative”, nelle quali si parla spesso di “tossine” che si accumulerebbero nel corpo dando origine a disturbi di varia natura e di cui ci si potrebbe liberare con qualche pratica. Luini, per esempio, afferma che un bagno in acqua in cui sia stato sciolto “almeno un chilo e mezzo di sale grosso […] innesca un processo di purificazione che «tira fuori» le tossine e le scorie attraverso la pelle” (p.62). Non esiste, però, alcuna prova di queste affermazioni.
Altri due termini che vengono con grande frequenza usati nelle medicine alternative e in altre pseudoscienze in un modo che non ha nulla a che fare con il loro reale significato scientifico sono “energia” e “vibrazione”. Se ne trovano diversi esempi anche in questo libro, che contiene frasi come le seguenti: “il contatto fisico o la prossimità con loro consente al campo energetico di vibrare in modo armonico” (p.64), “abbiamo il potere di muovere l'energia: è la nostra volontà a interagire con la vibrazione” (p.65), “con una vibrazione vivace e alta che entra in risonanza con il suo sistema energetico le fornisce la spinta” (p.79), “è una sensazione, un disturbo vibratorio nel suo campo energetico” (p.107).
Luini attribuisce persino il genere all'energia, associandolo ai giorni della settimana: a suo dire “nel giorno di lunedì [...] l'energia è femminile” e così per il martedì, mentre il giovedì “è energia maschile pura” e maschile è anche l'energia della domenica (p.211).
L'autrice propone di trarre suggerimenti dalle carte, dopo averle manipolate a lungo “perché si impregnino della vostra energia” (pp.157-158) e dice di avere un gatto con facoltà telepatiche (“sordo ma telepatico” – p.89). Luini sostiene anche di aver assistito a fenomeni telecinetici: racconta che in presenza di una donna in seguito diventata operatrice di reiki gli oggetti si muovevano senza essere toccati: un foglio si era sollevato e un rubinetto si era aperto da solo (pp.139-140).
Le affermazioni contenute nel libro di Luini non sono diverse da quelle che si possono trovare in tanti libri scritti da sostenitori delle medicine alternative. In questo caso, però, a proporle non è una naturopata, ma un medico di un prestigioso istituto.
L'autrice è certamente conscia del fatto che tanti colleghi potrebbero (giustamente) storcere il naso sapendo che dà credito a pratiche senza valore come il reiki e nel libro chiede: “Se lo faccio in un luogo diverso dall'istituto dove lavoro come senologa e rendo chiarissimo che non sto sostituendo gli strumenti medici, quale può essere il male?” (p.73) Il male è, ovviamente, che si propone un trattamento che, alla prova dei fatti, si è rivelato inutile. La persona che si affida al reiki per qualche disturbo, vero o immaginario, sciupa tempo e sostiene spese inutili. Anche se l'operatore dice in modo chiaro che la pratica che propone non deve sostituire le vere cure mediche, lascia però credere che abbia un'efficacia e questo può di fatto portare il cliente a trascurare o a seguire meno scrupolosamente le terapie di provata efficacia che dovrebbe seguire. L'unica cosa da fare, tanto più per un medico, è di dire chiaramente che reiki, fiori di Bach e altri rimedi naturopatici non hanno alcuna validità.

 

  • n.64 - giugno 2021

LIBRI

Romolo Giovanni CapuanoHanno visto tutti! : nella mente del tifoso, Milano : Meltemi, 2020

Al contrario di quanto afferma una “frase ripetuta milioni di volte”, il calcio non è “solo un gioco” (p.17). Le maggiori competizioni nazionali e internazionali hanno un giro d'affari notevole. Il calcio ha un forte impatto sociale e può avere anche un peso politico. L'autore ricorda l'“uso sfacciatamente propagandistico che i regimi autoritari ne hanno fatto nel tempo”, come nel caso del fascismo con le vittorie dell'Italia nei mondiali del 1934 e del 1938 e della dittatura argentina con il successo della nazionale di quel paese nel 1978. In Spagna il Real Madrid era “identificato come la squadra del regime franchista”, mentre, dall'altra parte, l'Athletic Bilbao era visto come un simbolo dell'identità dei paesi baschi (pp.37-38).
Di fronte alle aggressioni, talvolta con gravi conseguenze, compiute da tifosi si sente spesso dire che “nel calcio di oggi c'è troppa violenza”, come se una volta non ci fossero episodi deprecabili di questo tipo. “Questa visione arcadica del gioco del calcio del passato è data sostanzialmente per scontata ed è raramente contraddetta”, osserva l'autore, “ma nei fatti è falsa” (p.50). Già alla fine dell'Ottocento, quando nasce il calcio nella sua forma attuale, e nei primi decenni del Novecento si registrano aggressioni contro tifosi rivali e arbitri e atti di vandalismo (pp.58-64).
La presenza di comportamenti violenti è peraltro attestata anche per i giochi con la palla dei secoli precedenti. Nell'Inghilterra del Trecento il gioco del pallone era caratterizzato da una notevole dose di violenza, tanto che nel 1314 a Londra fu emanato un divieto di praticarlo. Per i trasgressori era previsto il carcere (pp.55-56). Anche “il calcio fiorentino […] era contraddistinto da un alto tasso di brutalità”. Un bando bolognese del 1580 proibiva il “gioco del calzo” per evitare “risse, scandoli et inimicitie” (pp.56-57).
Facendo riferimento a studi di psicologia, l'autore descrive bias e fallacie cui sono soggetti i tifosi. C'è, per esempio, il bias di attribuzione, ovvero il far riferimento al merito o ad altri fattori in modo diverso a seconda che la situazione riguardi la propria parte o l'altra. Il tifoso, per esempio, tenderà ad attribuire “la vittoria della squadra rivale […] a fortuna o disonestà”, mentre “quella della propria squadra a merito e superiorità, anche quando è risicata”. Questo bias non è peraltro prerogativa dei tifosi. Come nota Capuano, “anche giornalisti, allenatori e giocatori commettono errori di attribuzione” (p.114).
Per il tifoso gli errori arbitrali (veri o presunti che siano) “ai danni della propria squadra sono disponibili alla memoria più facilmente di quelli commessi ai danni di altre squadre” (p.146).
E' facile notare che il tifo per una squadra di calcio influisce, anche inconsciamente, sulla valutazione degli episodi di gioco. Il tifoso tenderà a interpretare le azioni in modo favorevole alla propria squadra. Un contatto dubbio tra due giocatori in area di rigore, per esempio, farà gridare al rigore il tifoso della squadra in attacco, mentre il sostenitore dell'altra squadra più facilmente lo riterrà un intervento non falloso (pp.92, 139). Anche se guardano lo stesso incontro, “i tifosi vedono partite diverse” (p.93).
Come dice il titolo del settimo capitolo del libro (pp.185-211), “anche arbitri e calciatori hanno i bias”. Nel capitolo successivo, Capuano prende in esame “le credenze erronee dello scommettitore” (pp.213-231).

Sara Rubinelli, Nicola Diviani, Maddalena Fiordelli, Pensiero critico e disinformazione : un problema contemporaneo, Roma : Carocci, 2020

Con questo libro gli autori hanno voluto dare un contributo per “sistematizzare i contenuti sul pensiero critico presentati in varie discipline, dalle scienze della comunicazione alle scienze cognitive, dalla filosofia alla sociologia” (p.165).
Un capitolo (il quarto, pp.67-83) è dedicato alla credibilità, per la quale gli autori indicano tre componenti. Una è la competenza di chi fa un'affermazione (pp.70-71). Un'altra è l'affidabilità. Chi vende un prodotto ha chiaramente interesse a presentarlo sotto una luce favorevole (p.71). Questi due elementi “direttamente o indirettamente possono fornirci informazioni sulla veridicità di un'affermazione” (p.72), ma a farla accettare contribuisce anche una terza componente, quella dell'attrattività, ovvero il “modo in cui essa si presenta” (pp.71-72). Anche se nulla hanno a che fare con la fondatezza dei contenuti, un modo di parlare più brillante o anche l'aspetto fisico di chi fa l'affermazione possono far ritenere più credibile quanto viene detto. Già i media tradizionali hanno “introdotto alcune sbavature nella presentazione della credibilità, sacrificando parte della competenza per altre caratteristiche più vendibili, quali l'attrattività” (p.79), ma con internet e i social network, scrivono gli autori, c'è stato un “cambiamento epocale” (p.79) e l'attrattività ha assunto “una posizione sempre più centrale” (p.81). Viceversa, l'aspetto della competenza viene spesso trascurato e la facilità di reperire informazioni (fatto che di per sé è ovviamente positivo) favorisce una “illusione di conoscenza” (pp.74-77) in base alla quale qualcuno crede che con una veloce ricerca in internet può mettersi al pari di chi davvero è esperto. Secondo gli autori, “il momento di crisi che la categoria degli esperti tradizionali” deriva dai “cambiamenti sociali in atto”, ma anche dal fatto che gli esperti stessi “non si sono saputi, e in gran parte non si sanno tuttora, adeguare al cambiamento sociale e tecnologico” (p.74). Il libro segnala però anche, come “risvolto positivo”, il lavoro di alcuni divulgatori (vengono citati come esempi Dario Bressanini, Beatrice Mautino e Roberta Villa) che hanno saputo proporre in modo attrattivo contenuti scientificamente validi (p.83).
Il successivo capitolo del libro (pp.87-103) analizza “le caratteristiche del pensiero critico e l'argomentazione”. Sono menzionate alcune qualità, come l'accuratezza dell'informazione e la sua rilevanza (ovvero il fatto che sia pertinente all'argomento di cui si parla). Un'altra qualità indicata dagli autori è l'ampiezza del pensiero (p.88), ovvero il saper prendere in esame punti di vista diversi. “Prendere in considerazione solo ciò che supporta i propri punti di vista è un limite”, dicono gli autori, sottolineando però che questo non significa che si debba adottare un relativismo in base al quale “tutte le opinioni o posizioni debbano per forza avere lo stesso valore”, un errore commesso spesso nei programmi televisivi quando si vuole fare un contraddittorio tra lo studioso che espone dati e fatti appurati con metodo scientifico e persone che non hanno alcuna competenza in materia e fanno affermazioni che non hanno prove a loro sostegno (p.89).
Il sesto capitolo (pp.104-129) ha per argomento la “disinformazione e manipolazione”. Trattando delle “strategie per catturare consenso” (p.114), gli autori menzionano l'impiego di fallacie logiche (pp.115-117) e di trucchi come il “ricorso alla paura”, frequente, per esempio, nella propaganda contro gli immigrati (p.121). Alcune pagine sono dedicate al complottismo (pp.122-125) e alle pseudoscienze (pp.126-129). Il libro ricorda anche l'uso di fare titoli “che derivano da scelte di sensazionalismo e danno un'idea fuorviante dei contenuti” dell'articolo per attirare l'attenzione e i clic (“click-bait”) degli utenti (p.107).
Il settimo capitolo comincia discutendo la percezione del rischio. Ci sono diversi “fattori che possono portarci a calcolare male un rischio” (p.130). Gli autori esaminano quindi le euristiche (“scorciatoie mentali” per una risposta rapida che, però, potrebbe essere erronea) e i bias che possono trarre in inganno nella valutazione dei rischi (pp.135-139).
Nell'ottavo capitolo viene proposto un “vademecum del cittadino” che voglia valutare le affermazioni in cui si imbatte. Il pensiero critico spingerà, per esempio, a chiedersi chi sia l'autore di un'asserzione e quali competenze ha sul tema trattato, se fa riferimento a enti riconosciuti per la loro attendibilità (p.153), se ci sono “fatti supportati da prove solide” (p.156), se c'è il consenso della comunità scientifica (p.156), se l'affermazione si basa su un singolo studio (gli autori citano il detto “una rondine non fa primavera”), quale sia la qualità degli studi (p.157).

Valentina Petrini, Non chiamatele fake news, con la collaborazione di Viviana Morreale, Milano : Chiarelettere, 2020

Come suggerisce il titolo, nel libro si parla del “falso che si insinua nell'informazione” (p.59) attraverso le esperienze dell'autrice come giornalista per programmi televisivi. “Non sto scrivendo un manuale”, dice l'autrice, “ma un libro […] dove racconto il perché delle mie scelte professionali sul campo e la mia visione del giornalismo” (p.59).
“La parola agli esperti”, scrive l'autrice, “è la prima regola da seguire” (p.69). I programmi televisivi sono spesso semplicemente “costruiti mettendo una contro l'altra tesi opposte”, magari anche con l'idea di “riscaldare lo studio e […] far litigare” (p.71). Non ha senso, però, dare lo stesso peso ad affermazioni di un esperto (o di un valido divulgatore) basate sui dati scientifici e ad asserzioni non suffragate da prove serie. Quel che risulta “dalle ricerche più accreditate” non è “un'opinione tra tante” (p.69).
L'autrice racconta a questo proposito un episodio capitato nel 2019 in una trasmissione televisiva in cui si parlava del riscaldamento globale. Come esperto sull'argomento era stato chiamato il climatologo Luca Mercalli. Avendo visto che sul quotidiano “Libero” erano apparsi articoli che presentavano la questione in modo scorretto, Petrini aveva invitato al programma anche il direttore di tale giornale, Vittorio Feltri: “se voglio occuparmi di disinformazione”, scrive l'autrice, “e fare il fact checking dei titoli e delle notizie, devo chiamare a rendere conto gli autori degli articoli che con i debunker definisco fake o inesatti” (p.75). Anche in quella occasione, Feltri aveva sostenuto le idee espresse sul suo quotidiano. Petrini aveva, però, aveva fatto notare al direttore di “Libero” che la sua posizione era smentita da fatti come quelli citati da Mercalli e che diffonderla sulla stampa o in televisione significava fare disinformazione. “Quello che conta”, scrive l'autrice, “non sono le impressioni […] ma i dati globali”. Feltri, però, non ha gradito che le sue impressioni non fossero messe sullo stesso piano dei dati scientifici: il direttore di “Libero”, ricorda Petrini,“è andato su tutte le furie […]. Si è tolto il microfono e se n'è andato, senza rispondere alle […] domande sui titoli del suo giornale” (p.77).
Un capitolo del libro è dedicato alla disinformazione che ha accompagnato il corso della pandemia di covid-19 (pp.99-137). C'è chi nega l'esistenza stessa del virus. C'è anche l'idea complottista secondo la quale il virus sarebbe stato creato in laboratorio nell'istituto di virologia di Wuhan (pp.120-137). Come presunta prova è stato citato anche un servizio del 2015 di Tgr Leonardo, su Rai Tre, nel quale si riferiva della sperimentazione effettuata su due coronavirus. Non si trattava però del Sars-CoV-2, il coronavirus della pandemia scoppiata nel 2019 (pp.125-130). Gli studi effettuati sul Sars-CoV-2 hanno permesso di escludere che si tratti di un virus nato da una manipolazione in laboratorio, ma, come è abituale quando si tratta di complottisti, la tesi “sopravvive alle smentite” (p.125).
Che le mascherine siano un importante mezzo per contenere la diffusione della malattia dovrebbe essere evidente a tutti. Ci sono state, invece, sciocche e pericolose manifestazioni contro il loro uso, accompagnate da inverosimili idee complottiste. Assurdità sul coronavirus non sono state sostenute solo nelle manifestazioni “no mask” o nei commenti sui social network, ma persino in un convegno tenuto nel luglio del 2020 in Senato con la “presenza in prima fila del leader della Lega Matteo Salvini” (p.100). L'autrice critica Salvini anche per aver “convocato la piazza il 2 giugno [2020]”, nonostante non fosse certamente il caso di far riunire molte persone, e ricorda come, per criticare l'azione del governo, abbia sostenuto tesi opposte nel giro di pochi giorni, dal “riapriamo tutto” del 27 febbraio al “chiudiamo tutto” del 10 e 11 marzo 2020 (p.104).
Petrini ricorda anche i comportamenti molto discutibili di leader di altre nazioni come il primo ministro del Regno Unito Boris Johnson (almeno in una prima fase, quella che al momento in cui scriveva il libro l'autrice aveva potuto osservare), il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente del Brasile Jair Bolsonaro (pp.103-104).
Il libro include un'intervista dell'autrice al divulgatore scientifico David Quammen (pp.167-174), il cui nome è diventato popolare dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19 per il suo libro Spillover, pubblicato nel 2012, che tratta dei virus che compiono un salto di specie (lo spillover del titolo) passando da altri animali all'uomo, compreso il caso di coronavirus provenienti dai pipistrelli, con riferimento alla Sars.
Il libro tratta anche della disinformazione prodotta in occasione delle votazioni facendo riferimento alle elezioni in Italia (pp.46-48, 55-58), alle elezioni presidenziali brasiliane del 2018 (pp.48-52) e al referendum indetto nel Regno Unito per decidere se restare nell'Unione Europea o abbandonarla (pp.52-54).
In una rilevazione del 2017, riferisce l'autrice, oltre la metà delle persone “dichiarava di accedere all'informazione online attraverso fonti algoritmiche come social network e motori di ricerca” (p.155). “I social network,” commenta Petrini, “pur non essendo ufficialmente organi di informazione, vengono percepiti così da un numero sempre più elevato di utenti” (p.157). Lo sa bene, purtroppo, anche chi diffonde disinformazione. Non è raro che contenuti inaffidabili ricevano visibilità, per esempio, finendo tra i primi risultati delle ricerche con Google o trovando ampia circolazione in Facebook. L'autrice ha quindi interpellato i “giganti del web” chiedendo quali misure hanno adottato per evitare che i loro servizi fossero sfruttati per far circolare affermazioni senza fondamento. Twitter ha comunicato che preferiva “declinare l'adesione” alla richiesta e Telegram non ha risposto (p.157). Hanno risposto invece all'appello Facebook, Messenger e WhatsApp, Google e YouTube, TikTok e, sia pur con una nota breve e vaga, il social network russo VKontakte. Le risposte sono commentate dall'autrice in un capitolo del libro (pp.154-166) e riportate in appendice (pp.183-205).

 

  • n.65 - settembre 2021

LIBRI

Paolo Preto, Falsi e falsari nella storia : dal mondo antico a oggi, a cura di Walter Panciera e Andrea Savio, Roma : Viella, 2020

Dall'antichità ai nostri giorni, sono innumerevoli le falsificazioni nei più diversi campi e nelle più varie forme. Chi è interessato all'argomento apprezzerà questo libro ben documentato che offre un repertorio molto ampio di falsi in più di seicento pagine (l'indice dei nomi ne occupa una settantina).
Il primo capitolo (pp.11-24) presenta le definizioni di falso, riferisce come nel tempo studiosi e politici hanno trattato l'argomento e parla di falsificazione della storia, con un cenno alla mistificazione operata dai complottisti (p.16).
Il capitolo successivo è dedicato ai falsi del mondo antico (pp.25-37) e include una parte sul cristianesimo delle origini (pp.28-32).
Si passa quindi, seguendo l'ordine cronologico, al Medioevo (pp.39-91) che, secondo Preto, è “l'età dell'oro” dei falsi (p.39). Monasteri e diocesi producono in grande quantità documenti falsi con i quali si attribuiscono privilegi (pp.44-52). Tra i documenti falsi, di eccezionale rilevanza è ovviamente la Donazione di Costantino (pp.69-71). Un altro campo in cui trovano spazio le falsificazioni è quello delle reliquie (pp.57-58). Tra le false reliquie medievali, la più celebre è senza dubbio la Sindone: anche se ancora oggi c'è che chi sostiene che si tratti realmente del lenzuolo che ha avvolto il corpo di Gesù, le prove storiche e scientifiche indicano che si tratta di un'opera del XIV secolo (pp.71-74).
Nel quarto e quinto capitolo si parla dei falsi dell'età moderna e contemporanea (pp.93-213). Alcune pagine sono dedicate alle false genealogie, inventate per la vanagloria di qualche famiglia (pp.104-108). Intento celebrativo avevano anche le Carte di Arborea (pp.198-200), che avrebbero mostrato la nascita in Sardegna di “una letteratura anteriore e indipendente da quella provenzale” così che “l'isola, sin'allora considerata isolata e marginale,” sarebbe stata la “culla del volgare illustre italiano” (p.198), e le Antiquitates di Giovanni Nanni, più conosciuto come Annio da Viterbo, presentate come un libro di storia, ma infarcite con una serie di invenzioni con le quali voleva esaltare la sua città (Viterbo, appunto) e i regnanti spagnoli (pp.116-120).
Denis Vrain Lucas (1798-1881) confezionò e riuscì a vendere al matematico Michel Chasles migliaia di falsi autografi di personaggi celebri, tra i quali uno scritto in cui Blaise Pascal avrebbe formulato la legge di gravitazione universale prima di Isaac Newton e uno in cui Galileo avrebbe segnalato di aver visto dei satelliti di Saturno. La collezione comprendeva anche manoscritti di altri scienziati, di vari re e papi, di scrittori (compresi autori greci e latini come Eschilo, Saffo, Cicerone e Virgilio, per citarne solo alcuni) e altri nomi famosi. Non mancavano neppure Socrate, Maria Maddalena e Ponzio Pilato. Più che all'abilità del falsario, però, è lecito attribuire la conclusione dell'affare all'incredibile ingenuità dell'acquirente. Il successo non fu però duraturo perché l'inganno fu scoperto e il falsario fu punito con il carcere e una multa. Chasles, che aveva dapprima difeso l'autenticità dei manoscritti che aveva acquistato, dovette infine rassegnarsi a riconoscere che era stato imbrogliato e che il prodigioso tesoro di cui credeva di essere entrato in possesso era in realtà solo una montagna di falsificazioni (pp.136-139).
Numerosi sono i casi in cui un falsario finse di aver trovato un manoscritto antico con un testo sin lì sconosciuto di un autore greco o latino (pp.109-116). Padre Pellegrino Maria Ernetti (1925-1992) aggiunse un tocco di fantascienza raccontando che grazie a uno strumento di sua invenzione che permetteva di vedere avvenimenti passati, il “cronovisore”, aveva potuto assistere a una tragedia di Quinto Ennio, il Tieste, di cui sono conosciuti solo alcuni frammenti, e trascriverne il testo (p.115).
Un altro tipo di falsificazione è quella di chi finge una diversa identità. Il re Sebastiano I del Portogallo era morto in battaglia, ma non era stato possibile recuperare il corpo. Da questa circostanza presero spunto gli impostori che tentarono di farsi passare per il defunto re, raccontando che in realtà si era salvato ed era ritornato in patria (pp.108-109). In Russia spuntarono tre pretendenti al trono che affermavano di essere Demetrio, il defunto figlio di Ivan il Terribile. Il primo riuscì persino a salire sul trono, anche se vi rimase per meno di un anno prima di essere ucciso (p.109). Agli inizi del Settecento George Psalmanazar divenne una celebrità fingendo di essere un nativo dell'isola di Formosa, allora ancora poco conosciuta, della quale raccontò usi e costumi e descrisse lingua e alfabeto – tutto inventato, ovviamente (p.147).
Le pagine successive hanno un approccio tematico. Il sesto capitolo (pp.215-274) prende in esame i “falsi storico-politici nell'età contemporanea”, come la lettera falsamente attribuita a Grigorij Zinov'ev (p.219) e i falsi diari di Hitler (pp.236-238) e di Mussolini (pp.248-252).
Il settimo capitolo (pp.275-301) tratta di falsi relativi ai testi ebraici, all'archeologia della Terra Santa, all'antisemitismo e alle persecuzioni degli Ebrei. Tra i falsi archeologici che hanno ottenuto maggiore notorietà c'è un ossario sul quale è incisa la scritta “Giacomo figlio di Giuseppe, fratello di Gesù”. L'ossario risale realmente al I secolo d. C., ma la scritta è un'aggiunta fraudolenta (p.280). Un celebre falso antisemita sono i famigerati Protocolli dei Savi di Sion (pp.286-288). Intessuto di falsità, l'antisemitismo ha portato a vere persecuzioni. Privi di rispetto verso chi le ha subite sono coloro che hanno finto di essere dei sopravvissuti dei campi di concentramento (pp.290-293). Disgustosi, oltre che privi di fondamento, sono i tentativi dei negazionisti di far passare per falsi le vere testimonianze di chi ha subito queste persecuzioni (pp.288-290).
L'ottavo capitolo (pp.303-354) è dedicato alle iscrizioni false, talvolta incise su reperti autentici (p.316) (come nel caso sopra menzionato dell'ossario di Giacomo). Nel nono capitolo (pp.355-362) si parla di “falsi in paletnologia, paleontologia, antropologia”, tra i quali il famoso uomo di Piltdown (pp.359-360). Segue un breve capitolo sui falsi in archeologia (pp.363-366). L'undicesimo capitolo è dedicato ai falsi nelle arti (pp.367-428) e comprende anche alcune pagine su come falsi e falsari d'arte sono rappresentati in opere letterarie e cinematografiche (pp.408-411), il dodicesimo (pp.429-481) tratta dei falsi letterari e dedica alcune pagine (pp.461-465) ai falsi musicali, il tredicesimo a fotografie e filmati falsi (pp.483-510), il quattordicesimo ai falsi giornalistici (pp.511-521), il quindicesimo ai falsi nelle scienze (pp.523-533) e il sedicesimo, con il quale si conclude la ricca carrellata di falsi offerta dal libro, alle contraffazioni di monete e merci (pp.535-545).

Tommaso di Carpegna Falconieri, Nel labirinto del passato : 10 modi di riscrivere la storia, Bari - Roma : Laterza, 2020

La storia è una disciplina che adotta un metodo rigoroso al fine di descrivere nel modo più accurato possibile ciò che è accaduto. “La ricerca storica”, scrive l'autore, “insegna un modo di conoscere, perché educa a cercare e dubitare, e di conseguenza a verificare o confutare” (p.7), a “incrociare le testimonianze, verificare le fonti, la loro attendibilità e soprattutto l'intenzione di chi le ha prodotte” (p.23). Non tutti coloro che hanno scritto sui fatti del passato si sono, però, dimostrati scrupolosi.
C'è chi si è inventato le sue presunte fonti, come Annio da Viterbo (p.47), Karl Benedikt Hase (p.47), Curzio Inghirami (pp.47-48), Giuseppe Vella (p.48), Alfonso Ceccarelli (pp.48-49).
Anche i falsi sono comunque un documento di interesse storico, “una fonte storica di prim'ordine” che “svela l'intenzione del falsario” (p.17). Un famoso falso è la donazione di Costantino. Il latino nel quale è scritta mostra che è stata redatta alcuni secoli dopo gli anni di Costantino e anche i contenuti “riflettono la situazione e le volontà politiche non certo del periodo a cui la donazione è attribuita, quando i rapporti di forza tra l'imperatore romano e il vescovo di Roma erano ben altri, ma del periodo in cui è stata fabbricata, quando il vescovo di Roma sta effettivamente diventando un sovrano” (p.39): un esempio di come “i falsi rispondono alle esigenze dell'ora presente” (p.40).
Secondo Giovanni Carnevale la città di Aquisgrana, dove furono sepolti Carlomagno e Ottone III, non sarebbe l'odierna Aachen (o, nella denominazione francese, Aix-la-Chapelle), ma San Claudio al Chienti (pp.79-82). Una presunta prova di questa fantasiosa identificazione starebbe nella Vita di san Massimino, nella quale si dice che una chiesa di Germigny-des-Prés somiglia a quella di Aquisgrana. Secondo Carnevale, però, la chiesa di Germigny-des-Prés non ha molto in comune con quella di Aachen e, invece, ha una forte somiglianza con quella di San Claudio al Chienti (p.80). Per corroborare questa sua idea, Carnevale seleziona “argomenti compatibili con la propria ricostruzione, scartando gli altri (cioè tutto), inanellando una serie di confutazioni e dimostrazioni che talvolta fanno sorridere” (p.81).
Rosetta Borchia e Olivia Nesci si dedicano a cercare somiglianze tra i paesaggi dipinti in quadri rinascimentali e località della Valmetauro e della Valmarecchia (pp.83-85). Ovviamente qualche tratto simile è facile trovarlo e, d'altra parte, se poi “ il paesaggio e il quadro non collimano alla perfezione” le autrici “modificano l'uno o l'altro elemento fino a farli coincidere” (p.83).
Le trovate di Carnevale e di Borchia e Nesci, osserva l'autore, possono avere “ricadute positive sul turismo”, ma dal punto di vista storico non sono per nulla attendibili (p.85).
Felice Vinci, nel suo libro Omero nel Baltico, sostiene che le vicende narrate nell'Iliade e nell'Odissea si svolgano non nell'area mediterranea, ma nelle terre e nei mari dell'Europa del nord (pp.85-91). Le corrispondenze tra le descrizioni omeriche e i luoghi settentrionali proposte da Vinci, però, “spesso non si trovano nella realtà (qui, nella geografia), ma nello sguardo di chi le imposta. […] Le analogie, anche quando sono disposte in serie, per lo storico non costituiscono prove sufficienti, ma tutt'al più argomentazioni indiziarie (e per Omero nel Baltico direi che non si raggiunge questo livello)” (p.89).
In questo uso spregiudicato delle analogie l'autore individua un vizio di fondo delle asserzioni di Vinci, così come di quelle di Carnevale e delle “cacciatrici di paesaggi”, come si definiscono (p.83), Borchia e Nesci: nelle loro opere “l'analogia sostituisce la prova; l'analogia è la prova” (p.93). Questa indebita sostituzione, scrive l'autore, “ci permette di cogliere quanto la pseudo-storia condivida mezzi e modi interpretativi delle altre pseudo-scienze come l'astrologia, la chiromanzia o l'omeopatia e quanto sia vicina al modo di pensare tipico dei complottisti” (p.93).
Un capitolo del libro è dedicato agli autori di “cronologie fantastiche”, nelle quali manca qualche secolo – e manca, chiaramente, ogni plausibilità.
Secondo Heribert Illig gli anni tra il 614 e il 911 non sarebbero esistiti (pp.98-100). Questo “tempo fantasma”, a suo dire, sarebbe stato inventato da papa Silvestro II e dall'imperatore Ottone III (con la possibile partecipazione alla trama da parte dell'imperatore bizantino Basilio II) perché volevano “trovarsi a regnare nel fatidico anno Domini 1000” (p.98). Tra i collaboratori di una rivista fondata e diretta da Illig figura Hans-Ulrich Niemitz, sostenitore, oltre che del “tempo fantasma”, anche della famigerata Nuova medicina germanica, che pretende, in modo del tutto infondato, di poter curare persino patologie gravi come i tumori, risultando così estremamente pericolosa per chi incautamente si affida ad essa (p.100).
Armeggiando con le date delle eclissi di sole e di luna, Zoltán Skoda ha elaborato l'idea ci sarebbe stato un errore di calcolo di circa due secolo: l'anno 1 corrisponderebbe secondo lui al 194 (p.100).
Con la sua “nuova cronologia”, Anatolij Fomenko di anni ne ha fatti sparire addirittura un migliaio. Secondo Fomenko, alcuni eventi sarebbero stati sdoppiati e il loro “doppio” sarebbe stato posto in un'epoca inesistente. La guerra di Troia, per esempio, non sarebbe altro che la quarta crociata (p.102). Anche alcuni personaggi storici sarebbero stati duplicati: per esempio Gesù, il profeta Eliseo, papa Gregorio VII, san Basilio di Cesarea, l'imperatore cinese Li Yuanhao e l'imperatore bizantino Andronico Comneno sarebbero tutti la stessa persona (p.103). Questo Gesù dai molti nomi sarebbe nato intorno al 1152 (p.102). Un effetto di questa contrazione del tempo è quello di “allineare la storia russa (che prima del X secolo non possiede tracce scritte [...])” con quella di altri paesi (p.101).
Un capitolo del libro (il nono, pp.127-142) è dedicato alla storia controfattuale, ovvero la “storia fatta coi se”. Un noto detto afferma che “la storia non si fa coi se”. Naturalmente la storia è quello che è stato e non quello che sarebbe potuto essere se qualcosa fosse andato diversamente. La storia fatta coi se, sostiene l'autore, può però avere una sua validità, purché, ovviamente, sia fatta distinguendo esplicitamente i fatti realmente accaduti dalle ipotesi contrafattuali (p.132), perché può aiutare a mettere in luce che la storia non è un “percorso obbligato”, ma “una serie di possibilità aperte” e a evitare di usare il “senno di poi” per valutare eventi del passato (p.134).
L'autore affronta anche il tema “invero spinoso […] del rapporto tra medioevo e suprematismo bianco”, rilevando che l'uso di “simboli attinti al medioevo” da parte delle “estreme destre americane – reazionarie, razziste e nazionaliste” è un medievalismo fasullo. Ritiene che non colga “del tutto nel segno”, comunque, anche chi afferma che vi sia “un'assoluta necessità di demolire […] il «medioevo soltanto bianco»” (p.116). Per quanto animato da intenzioni indubbiamente migliori di quelle dei suprematisti, anche questo tentativo “è basato sul presupposto erroneo di dover rendere per forza attuale il passato. Così facendo, il passato viene 'colonizzato', esattamente come fanno le culture prevaricatrici che condanniamo” (p.119). “Il medioevo anglosassone o quello vichingo sono davvero 'bianchi', non c'è niente da fare e non possiamo modificare il dato”, scrive l'autore notando che “il problema […] non è riconoscere la realtà storica, ma attribuirle un valore suprematista” (p.118).
Ci sono anche i negazionisti dell'Olocausto. Le loro menzogne dovrebbero essere vietate per legge? Pur concordando sul fatto che si debba opporsi a questi “falsificatori della storia” (p.123), l'autore avanza dei dubbi sull'opportunità di una normativa contro tali asserzioni, “poiché condannare la libertà di pensiero, anche quando questo fosse palesemente distorto, significa comunque condividere che sia giusto punire qualcuno per un reato d'opinione” (p.124), e ritiene che sia meglio contrastare queste falsità esponendo quale sia, invece, la realtà. L'autore osserva giustamente che le affermazioni prive di fondamento dei negazionisti non hanno nulla a che vedere con il metodo storico e quindi “non vi può essere alcun dialogo tra gli storici e i negazionisti […] semplicemente perché non vi è un piano scientifico su cui confrontarsi” (p.125).

 

  • n.66 - dicembre 2021

LIBRI

Mauro Munafò, Fake news, haters e cyberbullismo : a chi servono e come difendersi, Milano : Centauria, 2020

L'introduzione del libro si apre con una citazione da un rapporto dell'Unesco: “Le opportunità offerte da Internet oscurano di gran lunga i suoi lati negativi. Senza trascurare questo fatto, dobbiamo comunque affrontare alcuni dei problemi che si presentano” (p.9). In capitoli di veloce lettura (il libro è rivolto in particolare ai ragazzi), l'autore tratta della diffusione in rete di notizie false (anche a opera di “fabbriche” di fake news come quella di Veles, nella Macedonia del Nord, o l'Internet research agency in Russia – pp.28-30), degli haters che usano internet per insultare e denigrare persone o gruppi, di atti di bullismo.
Uno dei contesti in cui abbondano le notizie false è quello delle elezioni. Munafò ricorda l'uso di notizie false nella propaganda a favore di Donald Trump negli Stati Uniti e di Jair Bolsonaro in Brasile e nel caso, meno noto, delle elezioni in Kenya nel 2017, in occasione delle quali lo staff di un candidato creò un sito con notizie false volte a screditare il rivale (p.36).
Se i tentativi di influenzare i risultati elettorali con notizie false sono un fatto appurato, più difficile è verificare quanto siano efficaci, così che l'autore scrive che è legittimo chiedersi “se anche il «potere» di influenza delle fake news” non sia “sopravvalutato da politici e media” e se non possa ridursi “a essere solo un elemento che rafforza convinzioni già esistenti”. In questa direzione puntano i risultati di uno studio su oltre mille elettori statunitensi che ha fatto un confronto tra coloro che hanno incontrato la propaganda dell'Internet research agency e quelli che non hanno avuto a che fare con essa senza trovare differenze rilevanti. “Al momento gli studi che provano a rispondere sono pochi e non si sbilanciano a fornire una risposta definitiva”, scrive l'autore che, giustamente, ritiene che comunque che “il quesito non è affatto banale” (p.67).
Un altro ambito in cui abbondano e possono essere molto pericolose le notizie false è quello della salute. “La prima motivazione è la possibilità di guadagnare: che si tratti di spacciare cure alternative a caro prezzo o fare sensazionalismo con titoli urlati”, scrive l'autore, aggiungendo che non si può però “ridurre tutto al solo aspetto economico”: altri elementi che favoriscono la circolazione di bufale sulla salute sono la “scarsa fiducia di una parte della popolazione nei confronti delle classi dirigenti”, alle quali vengono associati i medici, visti con toni complottisti come i “dottori pagati dalle multinazionali dei farmaci”, e “un pericoloso mix tra salutismo ed «effetto nostalgia», con l'esaltazione acritica di ogni metodo spacciato per naturale o riconducibile a presunte saggezze popolari” (p.42).
E' dunque importante prendersi “il tempo di controllare” prima di prestare fede a quanto si trova in internet e prima di condividerlo. Come osserva l'autore, spesso per trovare una smentita basta una veloce ricerca in rete. “Se non siete sicuri, non condividete”, consiglia giustamente Munafò: “Aspettare senza avere fretta, in attesa di nuove informazioni, è la più saggia delle scelte” (p.78).
Il libro tratta anche del cyberbullismo. L'autore raccomanda ai ragazzi di tutelare la privacy, di non partecipare mai a “conversazioni nate per fare del male a qualcuno”, di parlare con genitori e insegnanti quando siano vittime o testimoni di atti di bullismo (p.119), di dare appoggio alla vittima di bullismo “senza mai colpevolizzarla e intervenendo in suo favore nelle conversazioni digitali in cui viene bullizzata” (p.120).

Errico Buonanno, Non ce lo dicono : teoria e tecnica dei complotti dagli Illuminati di Baviera al Covid-19, Torino : Utet, 2021

Nel 1776 Adam Weishaupt fondò una società segreta, gli Illuminati di Baviera (pp.26-31). Per renderla più affascinante, Weishaupt raccontò, inventando tutto di sana pianta, che la sua società aveva antiche origini e che aveva al suo vertice “misteriosissimi Superiori Sconosciuti” (p.27). Alcuni anni dopo la società venne messa al bando come “gruppo eversivo deciso a rovesciare l'ordine costituito”. Come nota l'autore, questo era in effetti “scritto nel loro statuto, ma […] si trattava soltanto di ideali comunissimi a quel tempo, che certamente Adam Weishaupt non aveva alcun mezzo per mettere in pratica” (p.29): erano in realtà di “un'associazione segreta da quattro soldi” (p.31). Nonostante ciò, gli Illuminati sono diventati i protagonisti di fantasie complottiste che li dipingono come un potentissimo gruppo che, tramando nell'ombra, è in grado addirittura di decidere il destino delle nazioni.
Cadet de Gassicourt, in un libro pubblicato nel 1792, sosteneva che la Rivoluzione francese era una vendetta dei Templari contro la monarchia che li aveva soppressi. Ad aiutarli a metterla in atto sarebbero stati a suo dire i philosophes e gli Illuminati (p.35). Anche John Robison collegò gli Illuminati alla Rivoluzione francese (p.35).
“Una vera e propria pietra miliare del complottismo antilluminato” (p.35) sono le Mémoires pour servir à l'histoire du jacobinisme (1796-1799) del gesuita Augustin Barruel secondo il quale la Rivoluzione francese, per la quale nutriva una profonda ostilità, era legate alle trame della massoneria e degli Illuminati di Baviera (p.36).
Ai giorni nostri di una cospirazione di Illuminati parla David Icke che nelle sue strampalate idee complottiste infila anche esseri extraterrestri con sembianze da rettili, ma in grado di assumere un aspetto umano (pp.88-90).
QAnon propone con personaggi diversi una trama molto simile a quella ideata da Icke. Secondo i sostenitori di QAnon ci sarebbe una potente cricca in cui avrebbero ruoli di primo piano politici del Partito democratico statunitense, e in particolare Hillary Clinton, e attori come Tom Hanks e che sarebbe dedita a svariate nefandezze. Il ruolo del buono viene assegnato, in questa delirante fantasia complottista, a Donald Trump (pp.59-61, 90-99).
Le affermazioni complottiste più che i fatti (il rapporto con la realtà è spesso molto labile) mostrano le paranoie di chi le sostiene (“Le dietrologie parlano di noi” – p.129). Ne è un esempio l'idea della sostituzione etnica. Secondo un filone complottista, sarebbe in atto un piano per favorire l'immigrazione con il fine di indebolire la cultura e le tradizioni europee. A questo presunto progetto si fa talora riferimento con il nome di piano Kalergi, dal nome del politico austriaco Richard Nikolaus Coudenhove-Kalergi che ne sarebbe, secondo i complottisti, l'ideatore (pp.75-81). A questo presunto piano viene legato il nome di George Soros, magnate ungherese naturalizzato statunitense, bersaglio della propaganda di Viktor Orbán. Secondo qualche complottista gli allarmi sui “cambiamenti climatici non sono altro che una messa in scena” e l'attivista Greta Thunberg sarebbe manovrata da Soros (pp.81-85).
Tra le più note “teorie del complotto” ci sono quella delle scie chimiche (pp.150-157), quella secondo la quale l'allunaggio del 1969 sarebbe una finzione (pp.157-161) e quelle sugli attentati dell'11 settembre (pp.167-168).
Buonanno riporta anche il caso del mercante James Tilly Matthews che nel 1796 era entrato nel parlamento gridando che i membri di quel consesso erano traditori. Matthews era stato arrestato e portato in manicomio. Il medico John Haslam, parlando con lui, scoprì che Matthews era convinto che nei sotterranei di Londra operasse un'organizzazione segreta che, usando un macchinario da lui chiamato “the Air Loom”, poteva controllare la mente degli uomini (pp.146-147).
La storia del complottismo comprende diversi esempi di falsi documenti nei quali i presunti cospiratori espongono i loro piani. Nel XVII secolo furono pubblicati i Monita privata Societatis Jesu, presentati come un documento segreto a uso interno dei Gesuiti nel quale si spiegavano le mosse da compiere per ottenere potere (pp.20-25). Il Testamento di Pietro il Grande, con il suo piano per imporre l'egemonia russa sull'Europa, non era stato scritto dallo zar al termine della sua vita, nel 1725, ma un secolo dopo da Charles-Louis Lesur: dunque, se i passi suggeriti per raggiungere l'obiettivo corrispondevano con quello che in effetti avevano fatto i successori di Pietro il Grande, non era perché era avevano dato attuazione al suo piano, ma perché il vero autore sapeva già cosa era successo (pp.108-111). I Protocolli dei Savi di Sion sono un falso scritto come se fosse un resoconto degli intenti sinistri di un gruppo di potenti Ebrei (pp.47-55). Nel memoriale Tanaka il primo ministro giapponese Tanaka Giichi avrebbe indicato le sue idee per la conquista della Cina, ma si trattava di un falso (pp.115-116). Falsa era pure la lettera attribuita a Grigorij Zinov'ev nella quale il presidente del Komintern avrebbe invitato i comunisti britannici a scatenare una rivoluzione (p.117).
Nel 1930 fecero notizia gli “Whalen documents” che contenevano un piano di spionaggio sovietico. Il giornalista John L. Spivak, del “New York Evening Graphic”, svelò che erano un falso. In effetti lo erano, ma non si trattava di un tentativo di screditare l'Unione Sovietica. Al contrario, anni dopo venne scoperto che i documenti erano stati creati proprio dai sovietici per farli poi smentire da Spivak, che era un loro agente, e creare così diffidenza nei confronti delle notizie che parlavano si spionaggio da parte dell'Urss (p.118).
Le epidemie hanno dato vita ad affermazioni complottiste. Durante la peste del XIV secolo ci furono persecuzioni contro gli Ebrei, accusati di spargere il morbo. Contro queste voci infondate si schierò papa Clemente VI, facendo anche notare che gli Ebrei erano colpiti quanto gli altri dalla malattia (p.185). Nel 1837, durante l'epidemia di colera nel regno delle Due Sicilie, l'avvocato siracusano Mario Adorno sostenne che la malattia era stata messa in circolazione appositamente dalle élite per diffondere il terrore e governare più agevolmente (affermazioni paranoiche di questo tipo sono emerse anche durante la pandemia di covid-19). Adorno organizzò anche ronde per cercare gli untori. Ci furono anche ribellioni, represse con durezza. Adorno alla fine venne fucilato (pp.179-182). Ai tempi dell'influenza spagnola negli Stati Uniti circolarono voci che accusavano la Germania di avere appositamente diffuso i patogeni della malattia (pp.194-195). Anche ai tempi della spagnola ci fu chi, sulla base di asserzioni infondate, si oppose all'uso delle mascherine, anche allora opportunamente suggerite come mezzo per contenere i contagi (pp.195-198).
Alle idee complottiste legate alla pandemia di covid-19 l'autore dedica un corposo capitolo (pp.171-230). Sono stati chiamati in causa, in modi diversi e anche assurdi, Bill Gates (pp.186-190) e la tecnologia 5G (pp.209-211). Secondo una tesi complottista, sarebbe in atto il Grande Reset, ovvero “un azzeramento dell'economia per ripartire con una società nuova” (p.189), caratterizzata da misure di controllo della popolazione. Tra coloro che hanno parlato di questo ipotetico Grande Reset c'è Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, autore anche di altre asserzioni assurde sulla pandemia (pp.189-190).
I complottisti affermano che le loro infondate asserzioni siano verità che vengono tenute nascoste. “Non ce lo dicono”, come riassume il titolo del libro. Però, osserva Buonanno, “a volte se «Non ce lo dicono», è perché forse non è vero” (p.126).

Owen Davies, Una guerra soprannaturale : magia, divinazioni e fede nella Prima guerra mondiale, Milano : Unicopli, 2021

Facendo ampio riferimento a giornali e riviste dei tempi, l'autore documenta la presenta di credenze irrazionali negli anni della Prima guerra mondiale.
Si parlò di profezie della Grande guerra. Fu chiamato in causa l'immancabile Nostradamus (pp.40-41), nelle cui vaghe parole si può ovviamente leggere qualunque cosa. Un altro modo di avere una profezia della guerra era scriverla dopo il fatto, ma fingere che risalisse a tempi precedenti, come nel caso della “profezia di Mayence” che ebbe una certa diffusione in Francia e raccontava di una guerra combattuta sul suolo francese e dava anche il nome del re nemico, Guglielmo II. Si diceva che fosse stata trovata nel 1845 in un convento, ma “si trattava senza dubbio d'un falso recente” (p.45). Alla stessa categoria di scritti retrodatati apparteneva un'altra profezia che circolava in Francia, attribuita a santa Odilia, vissuta nel VII secolo (pp.44-45). Anche in Germania ci furono finte profezie della guerra attribuite a tempi passati, ma in realtà redatte durante il conflitto (pp.45-46). Non mancarono “i noti fanfaroni come il mago rituale Aleister Crowley” che nel 1914 raccontò che aveva previsto la guerra nel 1910 (pp.49-50).
Gli astrologi pretendevano di leggere nelle stelle gli sviluppi della guerra (pp.59-67). Il fatto che i compilatori di almanacchi astrologici facessero previsioni favorevoli al loro paese, dice Davies, rufletteva probabilmente al loro patriottismo (non c'è invece alcuna prova, scrive l'autore, che rientrassero in un'opera di propaganda dei loro governi), ma “c'erano anche interessi commerciali”: le autorità “certamente non avrebbero permesso la diffusione di predizioni sinistre” (p.87).
Davies riferisce un curioso calcolo apparso sulla stampa britannica e francese come “prova” che la Germania, e in particolare il suo sovrano Guglielmo II, avessero un ruolo demoniaco: dando a ciascuna lettera della parola “Kaiser” il valore corrispondente alla posizione nell'alfabeto (11 per la K, 1 per la A, ecc.) aumentato di 6 (perché sei sono le lettere della parola in questione) e sommando i risultati per ciascuna lettera si otteneva 666, il numero della Bestia nell'Apocalisse (p.83).
Durante la guerra si parlò di apparizioni di angeli (pp.91-100), della Madonna (pp.100-106) e di guerrieri famosi (pp.110-112) che avrebbero sostenuto i soldati.
Superstizioni e oggetti che si credeva portassero fortuna erano diffusi tra i soldati. Il numero 13 era considerato fortunato in Francia, ma nefasto nei paesi anglosassoni (pp.205-206). Si riteneva portassero fortuna i ferri di cavallo (p.218), le zampe di coniglio (p.219) e i quadrifogli (pp.229-230) (ma anche, tra i vegetali, l'erica per i britannici, il mughetto per i francesi, il trifoglio per gli irlandesi – pp.225-229). Anche la svastica ai tempi, prima che diventasse un simbolo del nazismo, era talvolta usata come portafortuna (pp.230-234). Animali in carne e ossa divennero mascotte militari (pp.234-235) e nel ruolo di “portafortuna furono anche ampiamente riprodotti sulle cartoline e sotto forma di amuleti e decorazioni” (p.235; cfr pp.234-241). Contrariamente alla fama che ancora oggi li accompagna, tra gli animali che portavano fortuna c'erano anche i gatti neri (pp.239-241).

 

I libri recensiti